Gruppi in età evolutiva. UTET, Torino, 2000. MIGLIETTA D. (a cura di)

Il discorso sull’infanzia è stato affrontato da molti autori e da molti punti di vista: storico, antropologico, psicologico o più propriamente psicoanalitico, ma il libro “Gruppi in età evolutiva” propone una dimensione originale e innovativa. Dagli studi a cui ho fatto riferimento si evince la tendenza, nell’analisi del processo storico culturale, al passaggio da un’idea dell’infanzia, come contesto esistenziale non ancora definito, a nuovi approcci che mostrano non solo la specificità del mondo infantile, ma ne evidenziano la complessità. Questo si vede dalla mole di lavori di psicologia dello sviluppo, di psicoanalisi infantile e dalla ricchezza degli studi socio-antropologici sull’argomento. La tendenza, a mio parere, principale di questi studi, sembra essere quella di attribuire una nuova profondità alla dimensione del mondo infantile che è solo in parte riconducibile al modello della ‘ricapitolazione’ che Freud ha fatto suo e che comporta un’analogia sostanziale tra il mondo primitivo e quello del bambino. L’indagine si è, invece, spostata sulla complessità dell’organizzazione sia della mente infantile, che delle società cosiddette ‘primitive’, evidenziando la variabilità delle espressioni del mondo infantile nei contesti differenziati culturalmente.

Riferendosi a queste tematiche sembra utile, a dire del filosofo Paolo Rossi nel libro bambini, sogni, furori, porsi in una posizione interlocutoria:” Il problema del rapporto tra l’antropologo civilizzato e il primitivo e il problema del rapporto tra l’adulto e il bambino si posero quasi sugli stessi termini e sulla base delle stesse alternative. Come si realizza un incontro con ciò che è diverso? Come si fa a non proiettare nelle nostre analisi delle culture primitive le nostre categorie di uomini civili e nelle nostre analisi del bambino le nostre categorie di adulti scolarizzati?” (Rossi P.,2001, p.42).

Tenterei di fornire ulteriori elementi di riflessione a riguardo partendo dal bel libro in questione, che descrive con ricchezza e competenza l’esperienza di psicoanalisi infantile di gruppo. Il testo, prezioso, affronta una quantità di spunti che non posso approfondire qui e fornisce utili informazioni sulle modalità di queste esperienze di gruppo, sui contesti dell’esperienza anche nei suoi aspetti istituzionali e formativi (lavoro presso scuole, servizi ed altre istituzioni). Gli autori, in particolare in alcuni saggi iniziali, ci presentano anche un’utile panoramica delle più importanti impostazioni teoriche che si sono confrontate con questo tipo di esperienza, per citarne alcune: il gruppo francese curato da Pierre Privat, che attribuisce un grande valore all’esperienza verbale, il gruppo nato dal Centro Ricerche Psicoanalitiche di Gruppo “Il Pollaiolo”, che si basa più sul gioco e sull’interazione emotiva verbale e non verbale, ed altri. Infine Il libro stesso si presenta come un organico lavoro di gruppo che ha acquisito un suo interessante stile di lavoro con i gruppi di bambini, apprendendo con entusiasmo dall’esperienza diretta con i bambini e integrando proficuamente, nel modello di lavoro, le teorie più adeguate per la comprensione di processi così complessi come quelli che si verificano nei gruppi di bambini.

Ci sono, poi, alcuni aspetti che è utile sottolineare. Il primo riguarda la particolare relazione tra i membri del gruppo e tra questi e l’adulto, il quale ha un tipo di rapporto tutto particolare con il gruppo che lo costringere ad entrare nelle trame della complessa emotività infantile, mantenendo un suo assetto adulto, ma anche costruendo con i bambini uno spazio speciale nel quale sembra un po’ assottigliarsi, almeno si spera, quella distanza di cui si diceva prima tra il mondo infantile e quello adulto. Per questo: “Il piccolo gruppo di bambini costruisce -come abbiamo appena detto- un sua cultura che nasce dal depositarsi e dal germogliare delle soggettività in fieri: queste evolvono contemporaneamente alla crescita del tessuto intersoggettivo”. (Miglietta D., p.13)

Nei gruppi di bambini si alternano situazioni estremamente confuse e caotiche con altre in cui, attraverso la narrazione e la nascita di un linguaggio mitico denotato emotivamente, si crea una nuova coerenza, che permette che l’esperienza in sé divenga il luogo dove evolvono linguaggi polivalenti , che più facilmente possono esprimere la tumultuosa emotività dei bambini secondo diverse modalità di comunicazione. Questo avviene nel luogo simbolico che gli autori hanno definito: l’isolachenoncè che è come “…un villaggio nel bosco, è uno dei luoghi della fantasia,del gioco o del sogno, che vengono costruiti e abitati nei momenti conflittuali della crescita: i ragazzi vanno nell’Isola quando oscillano tra la fantasia di fuga e il timore di non farcela -con il conseguente desiderio di tornare indietro – ed è perciò importante che i genitori siano presenti nel momento in cui nasce il bisogno di ricongiungersi a loro”. (Miglietta D., p. 17).

Il gruppo è, in questo contesto il luogo dove si possono affrontare i processi di crescita e le paure che ne derivano e che si esprimono nei momenti più critici in forti ansie di dispersione. Esso diviene il luogo e lo spazio dove poter affrontare i fantasmi della separazione o l’esperienza dell’arrivo, dopo una pausa, di nuovi membri e le relative ansie di sopravvivenza psichica del gruppo.

In un esempio clinico significativo viene descritta una situazione in cui i bambini cercano di assicurarsi spazi di protezione dell’integrità individuale e, allo stesso tempo, alimentano un’importante forma di comunicazione emotiva nel gruppo: “Immaginando questa invasione di <alieni>, il gruppo reagisce utilizzando nuovamente case-rifugio, in cui ogni bambino si rintana per conto suo per proteggersi dal maltempo, mentre la comunicazione è assicurata da una bambina-postino”(Cormaio M. L., p. 85). La condizione esistenziale di questo gruppo nella fase descritta è notevolmente simile alla suggestiva vicenda narrata nel film di Kevin Costner “l’uomo del giorno dopo”. In un mondo di sopravvissuti ad un conflitto nucleare, soggiogati dalla prepotenza di un esercito di sbandati comandati da un leader sadico, i diversi villaggi ristabiliscono il sogno dell’identità americana nel momento in cui il protagonista, “l’eroe culturale” si finge postino e viene ricreata, attraverso la ripresa di questa forma di comunicazione, una struttura sociale e una solidarietà di gruppo. Partecipare all’esperienza di un gruppo di bambini e anche solo leggere di essa nel libro, genera anche in chi scrive il ricorso ad un pensiero metaforico ed è molto produttiva la capacità degli autori di unire al rigore delle analisi teoriche e delle notevoli descrizioni cliniche l’utilizzo di suggestioni letterarie, che si riferiscono a testi significativi come ‘Peter Pan’, ‘Il signore delle mosche’ e ‘Congo’.

L’esperienza dei bambini in un gruppo con un adulto attento ai loro bisogni, che, favorendo il gioco simbolico, permette l’evolversi di una comunicazione ai vari livelli, sensoriale, linguistico, mitico-narrativo, fonda la possibilità di un rapporto più vitale con il mondo: “Il gruppo accosta un pensiero multiplo al pensiero del soggetto e a quello che gli hanno fornito i genitori e offre altri modelli di leadership, dando la forza ai pensieri nuovi”. (Miglietta D., p. 23).