MemoriaFuturo

Presentazione al numero: Memoria del Futuro

Dobbiamo a Claudio Neri la felice intuizione di poter progettare un interessante numero di Funzionegamma su Memorie del Futuro (d’ora in poi, MDF) di Bion. Felice per più motivi. Innanzitutto perché curiosamente in letteratura non ci sono molti lavori sulla Trilogia; poi, perché il paradigma ispirato a Bion sta diventando sempre più noto in psicoanalisi – e per di più in una versione che vede gli category italiani in prima fila; infine, perché soffermarsi su MDF vuol dire impegnarsi in un’attività teoretica. I tre volumi di Bion non rivestono solo un grande interesse per la biografia dell’autore e neppure solo in funzione di comprendere meglio i suoi concetti teorici, bensì si possono considerare a pieno titolo come il capitolo conclusivo di una geniale parabola creativa: non un riassunto o un appendice ma un nuovo capitolo.
I lettori troveranno in tutti i lavori riuniti nel numero ampie giustificazioni a questa mia asserzione. Qui accenno solo che, ritenuti da alcuni addirittura come il segno di un decadimento psichico di Bion, forse solo ora che li possiamo mettere in prospettiva siamo in grado di apprezzarne il valore. In questi testi, che dichiaratamente si presentano come il racconto di un lungo sogno, Bion dimostra ancora una volta una diabolica capacità di spiazzare i suoi lettori e di obbligarli letteralmente a spremersi le meningi e quindi a pensare con la propria testa. Diabolica perché in questa sua tenace attitudine c’è qualcosa di sulfureo, una qualità che la psicoanalisi dovrebbe sempre avere, e anche di provocatorio: ma ciò a cui Bion provoca è ad avere coraggio.
Dovremmo sempre ricordarci di questo aspetto chiave del suo pensiero, di un pensiero che non è mai fermo; ancora di più nel constatare che esso viene finalmente accolto (però anche normalizzato). C’è sempre il rischio di farne una sterile raccolta di formule. Si smarrirebbe però l’autentico impulso decostruttivo che lo pervade. Così, ciò che MDF esalta è la visione del sogno come attività di rappresentare. Siamo chiamati a sognare con lui in un vortice di immagini, storie, personaggi, citazioni. È la mente al lavoro, lo spazio del sogno che si popola delle sua presenze al tempo stesso umbratili e iperluminose.
La forma narrativa ci ricorda che dopo il fallimento del positivismo siamo rimasti con le nostre verità retoriche. Le uniche verità che abbiamo sono quelle che riusciamo a costruirci consensualmente attraverso il linguaggio, non possono stare al di fuori di esso. Creare significato è narrare, e non si potrebbe fare diversamente. E narrare non è solo narrare ma rappresentare. Rappresentare, a sua volta, ha il senso per l’individuo di collocarlo a una distanza di sicurezza dall’angoscia che prova di fronte alle forze immani della natura, ma, come in uno qualsiasi dei dipinti del Romanticismo ispirati ai temi del sublime, pur non smettendo di essere sgomento, in un modo  che non lo faccia sentire più così minacciato e che gli permetta di assistere a questo spettacolo.
Se tuttavia valutassimo il testo secondo le categorie della narrativa di finzione, non lo potremmo ritenere riuscito. Non bastano gli echi beckettiani, a tratti anche ispirati. Se invece lo leggiamo da analisti, cioè da persone che sono appassionate al campo specifico inventato da Freud – l’analisi, scrive Ogden, è una forma di relazionalità umana che prima non esisteva: una cosa insieme semplice ed enorme – ecco che troviamo in queste pagine una fonte infinita di preziose suggestioni. Il campo della psicoanalisi si nutre profondamente di scrittura ma è anche il campo empirico dell’incontro e di una pratica di cura. A questa dualità non si può rinunciare. Se ci facciamo caso, le opere puramente narrative di analisti anche di fama quasi sempre ci annoiano e ci deludono. È perché a nutrirli direttamente non c’è la linfa vitale dell’esperienza viva dell’analisi – e neppure dello sforzo di dare una cornice tepretica a questa esperienza -, quella linfa che invece in MDF circola in abbondanza.

I contributi dell’edizione sono diversi. Alcuni sono inerenti direttamente a Memoria del Futuro, altri sono più distanti e rivolti a temi generali. Ma uno spirito comune suggerisce agli category di mettere in campo la relazione con il movimento dei terrori ipotalamici, propri della protomente che Bion ha indagato.
Alcuni di essi prendono in considerazione la vita storica e interna di Bion dal punto di vista dei traumi vissuti durante la Prima Guerra Mondiale e rielaborati come conoscenza in evoluzione e continuità di esperienza (Roper) e straordinaria capacità di esplorare la mente psicotica (Hinshelwood 1). Sono in questa area esaminate le esperienze di Bion in ordine alla concezione del trauma e dei tre vertici della mente psicotica, stupidità, arroganza, curiosità e considerando un mutamento avvenuto in Bion al tempo delle sue esperienze durante la Prima Guerra Mondiale e della sua prima formazione, nel suo atteggiamento verso se stesso e verso gli altri: “Lo scritto di Bion potrebbe cioè essere letto come una espressione ricca di insight di elementi soggiacenti al suo proprio disprezzo e arroganza” (Hinshelwood, 1). E sono esaminate le fonti del suo complesso e vario pensiero e la sua formazione articolata in diversi campi, per lo studio del funzionamento della mente psicotica e la considerazione della base organica della materia vivente e vitale della mente primitiva (Hinshelwood, 2).
Altri studi abbordano le dimensionalità del bisogno di ortodossia e di dogmatismo religioso, che porta drammaticamente la mente ad abbandonare il contatto e il pensiero creativo e mitopoietico proprio della psicoanalisi (Ferro); o indicano la “mancanza di spazio per esistere di parti della mente individuale non completamente nate o precocemente abortite […] e di modelli e teorie che non avendo trovato sufficiente spazio nella mente di Freud e dentro la mente della comunità scientifica da lui creata, sono sprofondate in sotterranei e catacombe della concettualizzazione psicoanalitica” (Manica); in un mondo attuale che attraversa la catastrofe ecologica, privo di memoria del futuro, disorientato e pervaso dalla bramosia elementare e violenta, nata nel tempo precedente alla formazione dell’unità organica stessa (Goretti).
In altri contributi, come chiaramente esposto in una serie collegata di paragrafi diversamente tematizzati (emozione e simbolo ; protopensieri ed emozioni ; il contributo dell’arte ; realtà interna realtà esterna delle cure materne ; libertà di pensiero ; fantasia come progetto) si rivede il percorso evolutivo di PS versus D e di altri costrutti bioniani relativi allo scambio fra la mente primitiva e quella evoluta, visti come cicli di ritorno di legami sinciziali – guardati anche dalla ricerca neuroscientifica – e visti come produttivi e garanti di continuità e integrazione dello psichismo, come base necessaria dei processi evolutivi (Cappelli).
E’ anche trattato in modi suggestivi il ricorso di Bion alla forma letteraria e teatrale di Memoria del Futuro : come “memoir”, e “commitment to the real”, un impegno, una fedeltà a ciò che è reale, e come uso del linguaggio per testimoniare il volto o l’essenza  ambigua della verità (Boffito) ; e come continuità epistemologica di Bion e tentativo di “evitare gli eccessi speculativi” e approcciare “la distanza ontologica fra oggetti e concetti” (Foresti) ; e infine come abbandono del linguaggio psicoanalitico, con il rivolgersi di Bion alla trasmissione orale e artistica del periodo americano, a testimonianza del concetto di esperienza di “O”, messo in relazione con i seminari e le analisi svolte in quel periodo e con riferimento all’importante contributo tratto dai ricordi dei pazienti americani di Bion, che  ci fa “incontrare Bion al lavoro nella stanza di analisi e conoscere così la sua tecnica “disciplinata e concentrata” (Grotstein)” (Ciocca).
“Secondo Bion, scrive Ciocca, di fronte ad O, si possono assumere sostanzialmente tre atteggiamenti: possiamo conoscere O, cioè cercare di sapere il più possibile su O senza viverlo…essere in rivalità con O, cioè convincersi che c’è qualcosa di meglio….ed infine ……. diventare O che significa invece cercare di vivere le esperienze per quelle che sono, accogliendo le emozioni, tollerandole, elaborandole, dando loro un significato, riconoscendole nella nostra storia, nella nostra vita: diventare quello che si è, potremmo dire con Nietzsche”.
Allora leggiamo, per fare l’esperienza delle parole e degli oggetti contenuti nelle parole di quanti si sono messi in contatto con le parole, per esprimere un legame fra i pensieri, e fra gli affetti e i pensieri dell’esperienza.