ANCESTRALSTORIES

Presentazione, Individuo Gruppo e Natura

La  questione degli equilibri ambientali, della loro stabilità, si avvia ad essere sempre più un elemento dominante per la qualità del nostro futuro. E tuttavia c’è una contraddizione – difficilmente spiegabile, forse, senza entrare nella complessità dei processi psicologici – tra quanto è diffusa nell’opinione pubblica la disponibilità a ritenere importante la questione ambientale e, per contro, quanto poco ciò si traduca in consapevolezza di merito, in comportamenti e, in definitiva, in una forte pressione sul decisore politico.
Ma, intanto, quanto è realmente grave la questione ambientale? L’effetto serra? Le malattie degenerative? O la disponibilità di energia? Sì, tutto questo è avviato ad essere, è già oggi, prospettiva drammatica per la nostra specie. L’effetto serra  non è quella insulsa vulgata che rappresenta il fenomeno come lento aumento nel futuro della temperatura al suolo del pianeta, scioglimento delle calotte polari o altre similari fantasie: è oggi stravolgimento della stabilità dell’equilibrio del ciclo climatico, che anche il nostro piccolo paese paga ogni anno con vittime e distruzioni. Le malattie degenerative sono, oggi, anche l’effetto di ciò che mangiamo, respiriamo e beviamo e rendono penosa una vita resa più lunga dalla vittoria sulla mortalità neonatale e sulle infezioni.. Tener la mano sul rubinetto del petrolio richiede di tempo in tempo il dispiego imponente di armate ed anche un numero crescente di morti, come l’11 settembre.
E tuttavia è così che viene vissuta la questione ambientale nel pensiero diffuso? Certamente no. I nostri processi di approccio non sono così lineari ed anzi vale forse la pena sottolineare il paradosso della positività delle pulsioni che generano poi i meccanismi più distruttivi.
Si può partire dalla considerazione della bellezza del paesaggio: quello naturale, ma anche in tanti casi quello “coltivato” dall’intervento umano, con la forza di richiamo di identità che esso può rappresentare. Dall’innamoramento per la bellezza al desiderio del possesso, come è noto, il passo è breve. Ma la risorsa è scarsa e da ciò – anche questo è noto – nasce il valore economico, lo sfruttamento, la spoliazione.
Analogo discorso, ancor più banale se possibile, riguarda le risorse fisiche, l’energia, l’acqua: risorse scarse. Questo carattere, che dovrebbe renderle preziose, ne fonda il valore economico e dunque avvia il processo di speculazione, sfruttamento, distruzione. Ma non vi è, alla base, l’aspirazione al ben vivere, all’uso della conoscenza scientifica per migliorare la qualità della vita? Che c’è di male?
E ancora, ultimo esempio, proprio la conoscenza scientifica, l’intravedere gli straordinari effetti di un’innovazione: perché turbare la festa ascoltando prediche pedanti di profeti di sventura sul “principio di precauzione”, su eventuali effetti negativi a lungo termine? Di fronte al miracolo che da un pugno di uranio scintillante si può trarre tanta energia quanto da una montagna di sporco carbone, perché attardarsi a considerare l’eventuale tumore che microdosi di radiazioni potrebbero causare? O, di fronte al simpatico batterio che possiamo impiantare nel mais come insetticida, perché chiedersi di suoi effetti allergenici in tempi lunghi: meglio dar retta a grandi scienziati che osservano, con graziosa vivacità, che, in fondo, di merendine al mais transgenico sin qui non è morto nessuno e, soprattutto, rendono omaggio alla grandezza  dell’uomo    nell’attività più nobile, quella scientifica. Dunque per guardare di fronte la vicenda ambientale, nelle conseguenze dure, penose, minacciose nel futuro, bisogna prima togliersi gli occhiali che, di volta in volta, hanno deformato l’origine dei meccanismi distruttivi con la lente del fascino:”che male c’è?”.
L’attenzione della ricerca psicologica approda a questa tematica, anch’essa indirettamente, quasi urtandola per caso, mentre sta perseguendo la sua ricerca sul ruolo del mondo esterno sul soggetto o sul gruppo. Ma questo può essere prezioso: innanzi tutto, senza dubbio dal punto di vista teorico, della comprensione cioè di come si formino gli atteggiamenti, le culture. Ma anche dal punto di vista dell’intervento di salvaguardia, <<per considerare cioè i modi in cui la teoria psicoanalitica può essere usata nel contesto della degradazione del mondo naturale e, alternativamente, nella restaurazione dei processi naturali>>(Spitzform): perché altro è la descrizione razionale del quadro dei meccanismi distruttivi, delle cause e degli effetti, altro è entrare nell’emozione che nasce dall’allargamento, dallo spostamento – emotivamente vissuto, assimilato – dei confini al di là del gruppo sociale, all’interno del contesto più largo del mondo non umano, per includere il grande ecosistema entro il perimetro di ciò che è assolutamente necessario per la mia salvaguardia.
Toccherà poi alla cultura, agli intellettuali, ai maître à penser, o al cinema, alla letteratura, fino alla politica, assimilare e diffondere.
E sarebbe allora la comparsa di una sorta di “Genius Loci” (Neri) che “si prende cura e rigenera l’habitat”; “promuove il sentimento di appartenenza”,ma senza ricorrere all’appropriazione che esclude; salvaguarda nella qualità del cibo un elemento dell’appartenenza stessa e dunque propone un senso più ampio di sicurezza alimentare; “promuove il sentimento di appartenenza” a questo contesto dai confini allargati nel quale mantiene l’armonia tessendo insieme differenti elementi” ed “assicura la continuità affettiva nei momenti di trasformazione e cambiamento”; dà cittadinanza alla paura piuttosto che rimuoverla coattivamente, al contrario si prende cura e ne affronta le cause piuttosto che irriderle. Una sorta di Genius Loci che, soprattutto, fa sì che non vi sia pensiero senza relazioni e relazione senza affetti.