Roby Friedman – Lezioni romane – Lezione del 17 novembre 2000

a cura di Sergio Stagnitta hanno collaborato: Bernardetta Morgante, Marcella Cartia, Carla Di Carlo, Alessandra Ripa

Facolta’ di Psicologia “Sapienza” di Roma cattedra di Teoria e Tecniche della dinamica di gruppo prof. Claudio Neri e Paolo Cruciani

PROF. P. CRUCIANI
Mi sembra che in questi giorni i numerosi concetti che vengono nominati nelle lezioni, nelle discussioni, stiano assumendo una particolare ricchezza e una particolare precisione perché li vediamo all’opera. Mi sembra molto bello come alcuni concetti come identificazione proiettiva, differenza tra processi primari e secondari, i meccanismi del sogno e un certo tipo di elementi comuni che si determinano nel sogno, nelle lezioni del prof. Friedman siano particolarmente chiari e particolarmente ricchi anche di possibili applicazioni che si inseriscono anche nel discorso che si sta facendo. Sempre ricordando quanto i vostri interventi e anche le vostre domande, le vostre esigenze, siano importanti; anche perché in quest’occasione abbiamo potuto vedere come la presenza di una persona che viene da fuori e ci porta dei modelli e delle idee nuove, si accompagna anche alla possibilità di avere con lui un vero scambio. Certe volte purtroppo arrivano delle persone molto brave ma tutto è talmente veloce, talmente chiuso in una giornata o in un convegno che è più una cosa suggestiva ma spesso non riesce a lasciare una traccia. Invece mi sembra che quello che sta accadendo sia piuttosto diverso e siano veramente delle cose che lasceranno una traccia. Sono molto contento di lasciargli la parola e buona giornata a tutti.
PROF. R. FRIEDMAN
Ringrazio il prof. Cruciani per queste parole gentili. Questa sarà l’ultima lezione. Abbiamo detto moltissime cose e abbiamo ancora molto da dire sul sogno, sul sogno nel gruppo e su come si utilizza il sogno nel gruppo.
Vorrei ricapitolare un po’ quello che ho detto ieri e vorrei anche espanderlo. Vi avevo annunciato che vi avrei parlato del secondo approccio al sogno, che chiamo l’approccio “tecnico-emotivo”, la tecnica dell’eco. Queste tecniche vengono nominate con i nomi dei pazienti perché i pazienti a volte dicono: “questo è come…” e da lì vengono nominati. C’era un gruppo che diceva sempre “a proposito dell’eco…”e da qui è venuta fuori la tecnica dell’eco. Un’altra tecnica è quella del racconto dei sogni insieme, come dicevamo ieri, perché alcuni pazienti dicevano sempre “raccontiamo il sogno insieme”.
Ieri abbiamo parlato di diversi aspetti del contenimento: cosa significa contenere, la relazione tra contenitore e contenuto, la differenza tra modalità conviviale, simbiotica e parassitaria (come è stato esposto dal prof. Neri ). Vi dirò questo perché questa relazione è quella usata nel gruppo per svilupparci. È il concetto principale attraverso il quale le persone si espandono.
Proverò anche a spiegare che cosa intendo per “contenimento esterno”. Vorrei parlarne ancora perché è un concetto che viene fuori sempre nelle nostre discussioni e nei nostri workshop. Il contenimento avviene tra persone che sono emotivamente vicine. È necessario evidenziare questo. Se in un gruppo due persone litigano o due sottogruppi litigano tra loro e si vuole un dialogo vero, dal mio punto di vista è impossibile. Ci vuole anzitutto che avvenga una trasformazione e che i loro confini si diluiscano un po’. Questa è la mia esperienza personale. Nel mio Paese, come voi sapete, passiamo dei tempi abbastanza duri. Ci sono delle grandi difficoltà tra due gruppi e delle animosità tra ebrei ed arabi. Nella mia città viviamo insieme agli arabi. Quindi, quando sono successe queste cose veramente terribili, c’erano delle persone, compreso me, che volevano fare dei gruppi con ebrei ed arabi, dei gruppi ad hoc, che avessero luogo per 5 o 6 incontri; ma non hanno mai avuto successo. Invece nei gruppi del mio Istituto con arabi ed ebrei che si conoscono da molti anni, la possibilità di trasformare l’aggressività è migliore, solamente perché esiste questa relazione. È, anche vero però che il nemico è un’entità con la quale ci relazioniamo sempre.

Come voi sapete, questa è la differenza tra “proiezione” e “identificazione proiettiva”. Questa è tutta la differenza e questo è tutto il mondo. C’è un mondo di differenze. Dal mio punto di vista clinico ci sono delle volte in cui il contenitore e il contenuto nella terapia cambiano. Nei prossimi anni molti articoli scientifici saranno scritti sul “mutuo contenitore” perché le cose che Bion ha scritto 30 anni fa su questo argomento, adesso stanno venendo fuori. Comunque nel gruppo le persone vengono e inconsciamente vogliono che qualcosa di loro venga contenuto. Ora vi voglio dire che con alcuni di voi ho avuto delle esperienze molto forti nei workshop. Questi workshop resteranno con me per tutta la vita, perché per me ci sono degli apporti che ricorderemo sempre, anche se negli anni perderò un po’ di memoria. In questi workshop, quelli di voi che ne hanno fatto esperienza hanno visto che c’erano delle cose che avete messo perché inconsciamente volevate che fossero elaborate dal gruppo. Erano una sorpresa sia per le persone che le hanno portate che per il gruppo. È questa una delle cose che c’è e che è molto potente nei gruppi. Ho provato a farvi vedere come il sogno è pieno di questi messaggi inconsci che rappresentano il gruppo interno. Il gruppo interno rappresenta del gruppo esterno parti diverse con le quali è possibile connettersi, come per esempio la gelosia, l’invidia la paura dell’abbandono e molto senso di colpa. Ho imparato che gli italiani non hanno meno senso di colpa di noi. Siete molto bene educati e introdotti in questo senso!
Vorrei anche dirvi che per contenere il terapeuta deve essere preparato, altrimenti utilizzerà il contenitore per sé e spero che voi stiate attraversando questa preparazione, che è contenimento, terapia e supervisione. Sono le “tre gambe”. Gli psicologi camminano su tre gambe, anche a metà della loro vita!
C’è un modo di dire in ebraico: “su un piede solo”, che significa spiegare qualcosa che è molto complicato in un tempo molto breve. Questa espressione nasce dal fatto che una volta hanno chiesto ad un rabbino di spiegare tutta la Bibbia stando su un piede solo. Quindi lui lo ha fato molto velocemente. Ha detto : “non fare all’altro quello che non vorresti fosse fatto a te . Il resto lo potete leggere da soli.” Questo è molto importante nel contesto in cui stiamo parlando.
Volevo anche dire che per un individuo che cerca un contenimento per qualcosa che per lui è molto difficile, c’è qualcosa della partecipazione e dell’identificazione degli altri, per cui lui vuole essere calmato. E poi lo vuole elaborare. Partecipare in senso clinico significa associare; anche se non si parla si può sentire; raccontare il sogno insieme è uno degli aspetti clinici per calmarsi, così tutti si sentono se stessi.
L’altro passo è quello di offrire delle reazioni molto personali perché queste reazioni sono l’incontro tra il conscio e l’inconscio. Io penso che un terapeuta possa solamente interpretare un sogno in un gruppo dopo che le persone hanno fornito degli eco sul sogno.

Adesso entrerò nel merito del gruppo e dell’individuo.
Ci sono degli approcci che fanno un continuum rispetto al gruppo che aiuta l’individuo e un continuum fa sì che il gruppo operi come un tutt’uno. Bisogna chiedersi se il sogno è individuale oppure è nato nel gruppo per l’esistenza del gruppo. Queste cose sono molto importanti ma ci arriverò dopo.
Per me nel lavoro clinico e nella terapia di gruppo, la fine del processo è che l’individuo entra nel gruppo in una cattiva situazione e ne esce un pochino meglio; ed abbiamo molte definizioni su cosa significa “meglio” ma in questo modo l’individuo è sempre nella mia mente. Io uso il gruppo e per me il gruppo è uno strumento. Ieri ho detto che spiegare che cosa intendo con “processo di sviluppo” significa dire che le persone mettono qualcosa lì e io lo metto dentro di me. Questa è la terapia di gruppo. E non è vero solo per la terapia di gruppo ma anche per la terapia individuale. Questa è solamente una parte ma è come se io sto imparando qualcosa di nuovo, c’è un sentimento nuovo. Come se per esempio io ho amato mio padre e improvvisamente qualcuno è molto arrabbiato col proprio padre; io imparo qualcosa di nuovo. Ma la maggio parte delle volte, per la maggior parte delle persone, non è possedere qualcosa di nuovo ma riappropriarsi di qualcosa . Questo è un aspetto molto importante per me: ri-prendere, ri-possedere. Bion ha detto qualcosa su questo. Lo ha per esempio chiamato “apprendere dall’esperienza”. Significa che abbiamo moltissimo dentro di noi ma lo dobbiamo conoscere e lo dobbiamo pensare. Quindi prendendo questo dentro di noi si ha la situazione che abbiamo avuto nei workshop. Ieri per esempio qualcuno ha detto qualcosa riguardo alla competizione tra la donne e come è difficile essere differente per una donna. Certe volte è invidia, gelosia, certe volte si chiama in un altro modo e nel gruppo il lavoro è stato come una piccola finestra su una cosa molto grande. È come se il gruppo lavora qui e qualcosa si apre lì e noi ci possiamo entrare ed è come se sentissimo che quella è la nostra casa. Questo io lo chiamo ri-appropriarsi, perché tutte le donne del mondo sanno che c’è un grandissimo prezzo da pagare per essere più degli altri.
Questo è stato solo un piccolo esempio di tutto ciò che è venuto fuori. Su questo problema io vorrei parlare di più , perché dà molti problemi alle persone che non sono psicologi o psicoterapeuti. Infatti dicono: “quali sono tutti questi problemi? I miei problemi non sono abbastanza? Perché devo andare in un gruppo e pensare a cose alle quali io non penso?” Questo è un argomento molto forte. È vero che essere in un gruppo alle volte è un contratto che non è verbale e che è inconscio. Lo si può chiamare “incontrare le difficoltà”, oppure “cercare, volere le differenze”. Infatti alcuni pensano che se incontriamo una persona differente, o comunque l’altro, noi cresciamo. Ma invece molte altre persone pensano che è meglio andare a prendere una birra con gli amici e parlare del perché la juve perde in questo periodo. Vorrei dire che questa è una parte della vita umana perché anche tra i tifosi, se non vogliono avere problemi, prima di tutto devono avere la loro squadra che vince sempre e devono tenere lontano gli altri tifosi, perché se vengono troppo vicino, allora di nuovo si incontrano delle difficoltà.
Questo però non significa che i nostri gruppi devono essere delle chiese o dei luoghi di disperazione e corridoi di depressione. Ci può essere umorismo, si può ridere, ci possiamo anche divertire perché anche questo fa parte della vita. Alle volte i gruppi si danno delle regole molto forti: la regola di essere depressi e di essere solamente in contatto con ciò che è difficile e minaccioso. Per questo io prego i terapeuti di usare i concetti che vi ho detto, e cioè l’eccitante e il minaccioso, perché molto di quello con cui abbiamo a che fare è eccitante. Anche ieri nel workshop ci sono stati degli indizi su problemi sessuali, sul divertimento e anche sui problemi connessi con questo.
Infine vorrei dire che nel lavoro, anche se io vado gradualmente dall’individuo al sogno, fino agli altri partecipanti del gruppo, cerco sempre di connettere quello che dicono in un senso coerente del gruppo. Nel primo workshop c’era una parte in cui l’atmosfera nel gruppo e la depressione del gruppo era come se rappresentassero i contenuti delle associazioni che avevano a che fare col sogno e del sogno. E questa è una cosa molto importante a proposito dei sogni. L’ho detto teoricamente dicendo che il sogno ha in sé un’identificazione proiettiva e vi ho ricordato le cose che ha detto Winnicott quando parlava di che cos’è una buona seduta: “un’emozione molto forte è contenuta e non si fa un acting-out.” Ma i sogni hanno spesso la tendenza a compiere un acting-out successivamente. La persona che racconta il sogno spingerà il gruppo in uno stato d’animo molto preciso. Nel primo e anche nel secondo workshop c’era una situazione in cui i sogni mostravano un forte senso di colpa e hanno portato il gruppo verso la soluzione di questo. Generalmente le persone vengono al gruppo consciamente dicendo che vogliono trovare delle soluzioni ma molte persone vogliono una assoluzione e quando faccio un sogno in cui ho molto senso di colpa, il mio terapeuta e le persone che stanno nel gruppo con me, immediatamente mi vogliono far sentire con meno senso di colpa. L’ho detto molte volte. Questa è la vita, perché la vita è avere dei sentimenti, esternarli, agire e avere delle persone che agiscono come me. Quindi la terapia c’è quando le persone cercano di farmi sentire l’assoluzione dai sensi di colpa. E il senso di colpa è solamente un esempio. C’erano molte cose nei workshops.
Uno dei sogni ha spinto il gruppo in una forte identificazione per riuscire a tollerare dei sentimenti di invidia. Ma c’erano altre parti del gruppo che hanno aiutato a rendere questo contenimento più complesso ed hanno aiutato anche a vedere altri lati, altri aspetti di questo contenimento nel sogno.

PROF. C. NERI
Mi piacerebbe discutere con voi alcuni dei punti principali che ci sono stati proposti in queste lezioni.
Il primo punto è di considerare se ci sono altre formulazioni da accostarsi al concetto di contenimento, perché questo è uno dei dubbi che io ho. Certamente quando il prof. Friedman ci ha parlato di questo processo di arrivare prima ad una situazione più calma, più tranquilla, più accogliente e poi questa richiesta di contenimento che avviene attraverso una persona o attraverso il gruppo, ci sta indicando un elemento fondamentale, una richiesta fondamentale e una via fondamentale. Questa è la situazione che più solitamente è seguita. Non so se vi sono situazioni o modelli alternativi a quello presentato. Per esempio Rasputin aveva uno slogan: “peccando peccando, fino alla salvazione.” L’idea che Rasputin porta avanti è che certi processi fondamentali dovessero trovare non un contenimento ma semmai un accrescimento iperbolico fino a trasformarsi nel contrario. Questo stesso concetto è stato proposto in altri termini da Bion, che ci parla sia di una situazione di “braking-down” (cadere in pezzi ) che di “braking-trou” (rompere e passare oltre ); ci parla anche di un processo che dalla posizione schizoparanoide si muove verso la posizione depressiva (recuperando così i concetti di M. Klein ) ma anche della necessità di oscillazione da una posizione di contenimento a una di frammentazione. (D <—-> PS), dalla depressione alla posizione schizoparanoide e viceversa. Mi domando se in alcune situazioni la domanda di contenimento o il leggere sempre le situazioni come domanda di contenimento non possa creare problemi da un punto di vista clinico perché ho l’impressione che a volte occorra passare ad un processo che implica un arco di tempo più vasto, che passa necessariamente attraverso momenti di rottura, di esplosione, per poi poter arrivare ad una nuova formulazione.

PROF. R. FRIEDMAN
Forse non è chiaro quello che dico ma era chiaro nei workshops.
Io non dico che non ci siano momenti di sentimenti molto forti e anche di frammentazione. Dipende dal tipo di personalità. Anche nei workshops sono avvenute cose molto forti e anche se noi in fondo non ci conoscevamo e non eravamo un gruppo, poi invece lo eravamo. Io non credo che contenere sia solo calmare. È anche esplodere, ma esplodere nelle mani di qualcuno. Io so che nel gruppo questa esplosione avverrà molte volte per il gruppo e per l’individuo. Capisco molto bene lo slogan di Rasputin ed io sono stato anche partecipe di gruppi del genere. Negli anni Sessanta e settanta questa proposta era molto seguita. Penso anche ai gruppi religiosi e ai gruppi armati che portano questa parte che io vedo comunque come parte del processo di gruppo. Non mi piace molto la parola “calma” perché in un gruppo non c’è mai un momento calmo. Quando per esempio la parte emotiva è un po’ più silente, altre parti del gruppo più strutturate e più logiche, sono più attive e turbolente. Quando io penso alla turbolenza emotiva, penso che è una parte della nostra vita. Quando siamo adolescenti ha una gran parte e quando siamo più grandi speriamo di avere anche momenti di turbolenza. Ma se è come Rasputin ha detto, che questa è la salvazione, questa è una parte del mio essere e la voglio integrare con le altre parti.

PROF. C. NERI
Qui vi sono delle differenze importanti sia dal punto di vista delle possibilità tecniche che di prospettiva. Io per esempio utilizzo molto di più l’idea che nel gruppo un aspetto importante del lavoro del terapista sia quello di rompere, spezzare, frammentare, e non solo quello di contenere. Quella di riunire e contenere è forse più una funzione del gruppo secondo me anche se sicuramente questo deve avvenire in un quadro di sicurezza.
Il secondo punto è che io non credo che la turbolenza debba essere integrata (forse questo dipende anche dalla differenza di modelli). Io vedo la turbolenza come qualcosa che è segno di un movimento evolutivo, segno di un movimento continuo che non deve essere contenuto.

PROF. R. FRIEDMAN
Quando io invito un sogno nei workshops o nella terapia (nella terapia lo chiedo solo se non viene spontaneamente), penso che sia una esplosione. Le parti frammentate del sogno sono scisse e portate fuori e la parte più interessante è che le persone connettendosi con la loro vita accettano le diverse parti di questa esplosione e ci fanno qualcosa. Quando qualcuno dice qualcosa della propria vita, per esempio qualcuno ha sognato qualcosa sulla gelosia, ed io ho qualcosa di me che ha causato gelosia in un altro, questa è un’altra esplosione. È forse un’esplosione più piccola ma è sempre un’esplosione che è stata causata dalla prima. Lavorare con il sogno nel gruppo può creare delle eco. È molto interessante che a volte qualcuno o un gruppo si inceppa e qualcuno può portare un sogno che determina una esplosione che riattiva il gruppo (come una macchina vecchia che si ferma e dopo un’esplosione riparte). L’esplosione si nutre dei frammenti che vengono proiettati.

PROF. C. NERI
È interessante la spiegazione di questo primo punto, la differenza di modelli soprattutto rispetto alla terapia e al sogno.
Vorrei discutere un altro punto che mi sembra fondamentale. Quando possiamo considerare un sogno come sogno di un individuo e quando come un modo di esprimersi del gruppo come un tutto?
Credo che qui vi siano dei modelli molto diversi: è diverso se noi consideriamo la situazione di gruppo come uno strumento per arrivare agli individui, o se consideriamo il gruppo come un’entità in parte autonoma dagli individui, che ha delle sue dinamiche, diverse dalla somma di quelle degli individui che ne fanno parte, un suo sviluppo, una sua storia. Vorrei riprendere il sogno che il prof. Friedman ci ha raccontato ieri, di una ragazza che veniva fatta a pezzi. I pezzi venivano portati sulle colline e vi erano delle iene. Dobbiamo vedere questo sogno dal punto di vista dell’individuo. L’individuo sta probabilmente parlando di un’emozione molto angosciante. Il prof. Friedman diceva che si trattava di un soggetto con una personalità molto narcisistica ma stava anche dando una rappresentazione della possibile evoluzione della storia del gruppo. In questo senso mi è sembrato che una possibile evoluzione della storia del gruppo potesse essere quella di un gruppo che cerca un nuovo modo di pensare, di essere e anche una nuova religione, cioè rispetto a un nuovo modo di concepire la vita e una nuova religione. Ho ricordato un rito e un mito al prof. Friedman; il rito del diasparagmos, un sacrificio che si riattiva attraverso la lacerazione in pezzi della vittima sacrificale. Questo processo di andare in pezzi è visto come qualcosa che riattiva la forza fecondatrice della vita. È il momento centrale del rito orgiastico di Dioniso. Solo andando in pezzi la natura può rinnovarsi e gli uomini, partecipando a questo momento orgiastico, possono riprendere contatto con le forze sessuali e accrescitive. Questo rito non deve essere letto come senso della colpa, come potrebbe essere letto in una chiave edipica, ma nel senso dell’orgia, della riattivazione e della ripresa di contatto con le forze della natura. Questo rito è connesso con un mito molto angosciante. Quando Dioniso, dio orientale, arriva nell’isola sacra portando con sé il vino e il nuovo rito dell’orgia, viene seguito da un tiaso. Il re, persona sensata e ragionevole, non ritiene che questo bambino sia un dio. Vi è uno scontro violento e il re viene ucciso e fatto a pezzi dalle proprie figlie. Non so se questa è una possibile lettura ma una cosa possibile in una interpretazione di questo genere potrebbe essere la falsificazione dei contenuti del sogno. Il mostrare i pezzi di carne, il sangue, l’eccitamento, può introdurre nel gruppo la drammatizzazione, portando in modo orgiastico il gruppo verso questo elemento e vedere se lo sfondo della dinamica del gruppo è la necessità di farlo evolvere verso nuovi aspetti angoscianti perché cozzano con la ragione. Il sogno allora potrebbe avere a che fare con il gruppo, oltre che solo con l’individuo, con una spinta più complessiva del gruppo. Attribuire il sogno troppo all’individuo potrebbe in questo caso schiacciare le persone.

PROF. R. FRIEDMAN
Questo è molto complesso e quindi cercherò di rispondere come la vedo io. Dal mio punto di vista c’è un grande riferimento al lavoro del terapeuta. Proverò a dire qualcosa sulle persone che portano un sogno nel gruppo. Per me è diverso se una persona fa un sogno e lo porta dopo un anno nel gruppo. Per esempio nell’articolo di “Funzione Gamma” (creare link) ho scritto di una persona che ha portato un sogno dopo un anno, quando il gruppo era cambiato nella sua composizione. Lo ha sognato mentre era nel gruppo ma lo ha potuto portare solo un anno dopo. Ci sono sogni fatti in periodi molto precedenti rispetto al momento in cui il soggetto entra nel gruppo. Io posso pensare ad un sogno individuale portato nel gruppo ma ci sono anche sogni che nascono nel gruppo. Probabilmente si tratta di un continuum ma io penso che si tratti di due estremi: un polo rimanda a qualche cosa che è successa nel gruppo e a cui si è avuta una risposta con il sogno; l’altro polo è un sogno messo da una persona come una “identificazione proiettiva.” Quindi se per esempio c’è un gruppo in cui non è possibile contenere certi sentimenti sessuali, il gruppo trova una bella donna e lei sogna per il gruppo i sentimenti sessuali. Queste sono cose molto importanti per la relazione tra gli individui e il gruppo. Nel lavoro di gruppo penso sempre al sogno come ad un “sogno di gruppo”, anzi voglio, che il gruppo si appropri del sogno. Clinicamente non considererò mai un sogno detto in un gruppo non in relazione con il gruppo. Il materiale con cui si lavora deve essere un materiale di gruppo. Ciascuna persona deve connettersi con questo materiale. Quindici anni fa ero in un gruppo di partecipanti ad uno psicodramma di una settimana. Di solito portavano una storia e noi mettevamo in scena la storia, qualunque storia. È vero che per me emotivamente ci sono alcuni sogni sognati nel gruppo per cui il processo di appropriazione del sogno da parte del gruppo è più facile. Generalmente i sogni sono più facili per il gruppo come un tutto, perché qualcuno del gruppo che è inconsciamente connesso con gli altri, lo porta dentro. Perché per noi è così importante dire che un sogno è un sogno del gruppo? Un motivo è tecnico perché se io non posso interpretare qualcosa come una possibilità, un’alternativa che avviene nel gruppo, ciò rende il sogno vicino all’esperienza nelle persone. Nel gruppo lavoriamo sempre così: prendiamo qualcosa e lo mettiamo nel contesto, così diventa “una parte di” e non escluso. Questo è un modo di vedere la terapia di gruppo e individuale. Nel gruppo il conduttore, se è molto preparato e se ha questo mito di Dioniso dentro di sé, forse potrà rispondere meglio a queste persone. Delle volte mi serve essere più attivo. Infatti abbiamo visto nel gruppo che alcuni sentimenti sono esclusi ed io ho dovuto fare in modo di riprenderli e di includerli. Io porto questi sentimenti dentro e per me è come introdurre la visione totale del gruppo. Però penso che a volte sia difficile trattare il gruppo come un tutto. A volte possono presentarsi problemi emotivi nel trattare il gruppo così perché possiamo essere molto ambivalenti nel trattare il gruppo come un tutto.
Vorrei fare un esempio tecnico: a volte ci sono dei gruppi in cui il sogno è impossibile da portare. In genere si tratta di gruppi in cui ci sono molti uomini che sono impegnati nella loro realtà. Ieri ho parlato degli uomini che sognano e nessuno mi ha chiesto perché gli uomini portano meno sogni delle donne, anche se ieri abbiamo avuto un 50% dei loro sogni. Quando qualcuno porta un sogno, a volte io faccio un introduzione per aiutare il lavoro del gruppo. A volte faccio cinque o sei domande rispetto al sogno e chiedo cose molto semplici, per esempio quali sono le associazioni o come strumento del lavoro di gruppo di usare cinque parole per descrivere il sogno e le sensazioni. Questa è la misura in cui il terapeuta introduce qualcosa di nuovo nella mente del gruppo. Ciò di cui noi stiamo parlando è l’attività del terapeuta quando nel gruppo c’è un nuovo sogno o ho chiesto di raccontare il sogno insieme. Dopo due o tre sogni non ho più bisogno di dire nulla. Il gruppo fa da solo. È un processo parallelo: io aiuto il gruppo ad integrare il sogno ed aiutando i soggetti a dire ciò che provano essi possono connettersi e trovare la propria vita più ricca.

STUDENTE
Da sogno come è possibile distinguere ciò che è del gruppo e ciò che è dell’individuo? Perché temo che si possa creare confusione tra queste due parti.

PROF. R. FRIEDMAN
Io non voglio che ci sia meno confusione. Il gruppo lavora sulla confusione proprio chiedendosi che cosa è mio e cosa non lo è. Questa è una domanda importante perché mi aiuta a chiarificare. Se c’è una differenziazione chiara, allora non si può lavorare bene.

STUDENTE
Volevo farle due domande.
Lei ieri diceva che a volte i gruppi si riuniscono, si lavora tanto e alla fine arriva un sogno; e oggi lei parlava di materiale del gruppo. Prima che arrivi questo materiale, lei usa altri materiali per il gruppo?
Per la seconda domanda mi volevo collegare anche al libro del prof. Neri. È possibile considerare nel suo modello il sogno come fantasia? E l’esplosione che lei dice che avviene nel sogno quando tutti si collegano con le proprie emozioni non rimanda al concetto di polarizzazione di Foulkes di cui parlava qualche giorno fa il prof. Neri a lezione?

PROF. R. FRIEDMAN
Di solito io non lavoro con degli strumenti. Lavoro solamente con i sogni quando questi vengono. Ma a volte non è così facile che il sogno venga. Anche nei gruppi di sogno parliamo di cose simili a quelle di cui si parla nell’ambito dell’analisi di gruppo.
Per quanto riguarda la polarizzazione, è simile alla mia nozione di esplosione. Una fantasia poi può essere usata come si usano i sogni; però secondo me fantasia e sogno non sono simili, anche se Bion e Meltzer dicono che lo sono. Il sogno è autentico, ci sorprende sempre, ci riempie. Una fantasia è meravigliosa ma non ha qualcosa che il sogno ha. La fantasia passa attraverso un’altra elaborazione. Certe volte è sufficiente, è un’area molto vasta.
Vorrei dire tre frasi per finire.
Per me il sogno e il racconto del sogno sono dei modi per trasformare lo sviluppo. Uno è la parte autonoma, voglio fare da solo, voglio essere più grande, voglio crescere; l’altro è che io voglio una comunicazione profonda con gli altri, e alle volte nella vita ho l’opportunità veramente di poterlo fare. Questo non succede spesso ma quando succede si può crescere e migliorare in terapia, per quello che migliorare significa. È una rèverie rinnovata.
Questo è quello che io ho voluto portare. Sono rimasto molto toccato dalla vostra partecipazione nei workshop e spero che abbiamo avuto tre giorni di sogno che ci aiuteranno nel futuro ad andare avanti. Ringrazio molto il prof. Neri e il prof. Cruciani per avermi invitato.

STUDENTE
Professore, volevo dirle che erano molti mesi che non sognavo e questa notte ho ricominciato a sognare e a ricordare i miei sogni!

PROF. R. FRIEDMAN
OK!

PROF. C. NERI
Io ringrazio moltissimo il prof. Friedman. Spero che continuerà a lavorare con noi e verrà anche nei prossimi anni. Grazie!