Il trattamento in gruppo di pazienti tossicomani, con oggetto mediatore: l’applicazione del Photolangage. Intervista a Claudine Vacheret

Domanda. Prof.ssa Vacheret, cosa ne pensa della cura di pazienti tossicomani?
Quale terapia risulta essere più appropriata, una terapia di gruppo o una individuale?

Claudine Vacheret. E’ evidente che con i tossicodipendenti una terapia di gruppo sia migliore poiché hanno enormi difficoltà con la mentalizzazione. Preferiscono “mettere in atto” piuttosto che “pensare”. Dal momento che non riescono a parlare dei propri sentimenti ed affetti è necessario per aiutarli, predisporre un setting con una mediazione. In questo modo parlano dell’oggetto e non di se stessi.

Domanda. Cosa pensa del Photolangage e del suo utilizzo con i pazienti tossicomani?

Claudine Vacheret. Le nostre esperienze con i tossicodipendenti nei diversi paesi, rivelano come il Photolangage sia un buon metodo per lavorare con loro. E’ stato utilizzato in Francia soprattutto nelle carceri o ad esempio a Montevideo, in Uruguay.

Domanda. Khantzian (1985) parla della differenza tra approccio psicodinamico (come facilitatore per la comprensione del sé) e approccio cognitivo comportamentale (per cambiare il comportamento dell’abuso di sostanze), riferendosi alla terapia modificata dinamica di gruppo.
In quale di questi approcci potrebbe collocare il Photolangage?
È un approccio primario o integrato al trattamento di pazienti tossicomani?                                                                                                                                                                                                                                                     

Claudine Vacheret.  Naturalmente il Photolangage è un approccio psicodinamico a soggetti singoli e ai gruppi. Questo metodo è molto ben riferito alla teoria francese sui gruppi istituita da Didier Anzieu e sviluppata da René Kaës. In accordo con questa prospettiva, è un approccio integrato.

Domanda. Bergeret in “Le psychanalyste à l’ècoute du toxicomane” (1999) presenta l’immaturità emotiva del tossicomane e considera la sua dipendenza in rapporto al dolore causato dalla perdita di una relazione.
Potrebbe la conlusione di un’esperienza di Photolangage, rappresentare per il tossicomane la ripetizione di un evento doloroso?

Claudine Vacheret. No perché la fine della terapia di gruppo è pianificata sin dall’inizio e tutto il lavoro è organizzato per aiutare i pazienti a vivere le separazioni e le perdite. Come sostiene Bergeret, hanno avuto molte poche possibilità di identificazione con le proprie figure accudenti, dato che queste non sono state in grado di prendersi cura per davvero di un bambino. Le loro prime identificazioni non sono state fissate o non sono abbastanza funzionali.

Domanda. Qual è la reazione dei membri del gruppo, alla scelta del conduttore di una foto o alla sua selezione della stessa foto di uno di loro?

Claudine Vacheret. La scelta di una fotografia operata dal conduttore, mostra che è  possibile giocare con un oggetto mediatore senza alcun pericolo. Anche il conduttore può condividere con i pazienti il proprio pensiero o il suo modo di pensare o la propria immaginazione, attraverso la foto che sceglie.  Scegliere la stessa foto, è un buon modo di scambiare immagini, immaginari, e identificazioni, con lui o lei.

Domanda. Con riferimento a Khantzian (1985), sembra che persone che solitamente provano rabbia e collera preferiscano gli oppiacei, invece persone depresse scelgono gli stimolanti.
Il Photolangage è compatibile con queste differenze? Sto pensando ai narcotici anonimi o ai cocainomani  anonimi.

Claudine Vacheret. No. Questa differenza non è rilevante. Tutte le persone dipendenti hanno gli stessi problemi che sono di tipo narcisistico.

Domanda. Infine, pensa che sarebbe possibile applicare il Photolangage a un gruppo che accoglie pazienti tossicomani insieme alle loro famiglie?

Claudine Vacheret. No, non penso sarebbe una buona idea mettere insieme i pazienti e le loro famiglie. E’ meglio fare un gruppo di soli tossicodipendenti ma penso anche che un gruppo di Photolangage sarebbe molto utile alle famiglie, ai genitori, a sorelle e fratelli, perché la dipendenza è una situazione di profonda sofferenza per quelle famiglie che si sentono impotenti di fronte a una situazione molto difficile. Parlare di ciò che sentono potrebbe essere molto importante nella cornice di un’istituzione che li accoglie insieme ad altre famiglie, ogni settimana o mese. Anche per loro la  mediazione di una foto è un buon modo di facilitare la possibilità di parlare delle proprie difficoltà nell’affrontare questa patologia.

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CLAUDINE VACHERET, è professore ordinario presso l’Istituto di Psicopatologia e Psicologia Clinica dell’Università Lumiere, Lione 2. E’ inoltre membro della Società Psicoanalitica di Parigi e dell’IPA.

C. Vacheret ha promosso in Italia e in altri paesi, l’utilizzo del Photolangage divenendo autrice di diversi libri che trattano di questo dispositivo.

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Bibliografia

Anzieu, M. (1983). L’Io-pelle, Roma: Borla, 1987.

Bergeret, J. (2001). Chi è il tossicomane, Bari: Dedalo.

Bergeret, J., Fain, M., Bandelier, M. (1999). Lo psicoanalista in ascolto del tossicomane, Roma: Borla.

Kaës, R. (1976). L’appareil psychique groupale, Paris: Dunod.

Khantzian, E. (1985). The self-medication hypotesys of additive disorders: focus on eroin and cocain dependence, The American Journal of Psychiatry, 142:1259-1264.

Vacheret, C. (2002). Groupes e mediation, Paris: Dunod.

Vacheret, C. (2009). Foto, gruppo e cura psichica. Il foto linguaggio come metodo psicodinamico di mediazione nei gruppi, Napoli: Liguori Editore.

Vacheret, C. (1985). Photolangage et thérapie, Psychologie medicale, 17, 9: 1353-1355.

Vacheret, C. (1995). Photolangage ou comment utiliser la photo en formation et en thérapie, Art thérapie, 52, p. 88-89.