di G. Zanda
“Luci e ombre” è una raccolta di otto saggi sulla storia della psicoanalisi, pubblicati dal 2008 al 2017 dalla rivista “Psicoanalisi e metodo”. La raccolta, edita dalla casa editrice ETS di Pisa, contiene una serie di saggi originali e inalterati rispetto alla prima pubblicazione, relativi alle vicende professionali ed esistenziali di alcuni membri del primo e del secondo gruppo di analisti costituitisi intorno a Freud, di cui, inutile dirlo, era il baricentro. L’opera di storiografia psicoanalitica contiene un lungo lavoro di ricostruzione svolto sulla base di fonti difficilmente reperibili di comunicazioni private tra vari analisti. Il lavoro è volto a chiarire i rapporti tra i diversi protagonisti, quelli in luce e quelli in ombra, o forse meglio definirli oscurati, dell’archivio per così dire ufficiale.
Dice J. Derrida: “Niente archivio senza un luogo di consegna, senza una tecnica di ripetizione e senza una certa esteriorità. Niente archivio senza fuori” (1995, p. 22). Ne deduciamo: “L’archivio è ipomnestico” (idem)! La documentazione ufficiale sceglie i contenuti da ricordare per l’avvenire, da consegnare alla storia, omettendo ciò che non si deve sapere. L’archivio consegna alla rimozione, alla repressione e alla soppressione ciò che si colloca fuori, ovvero di ciò che non è illuminato.
“Luci e ombre” racconta la nascita dell’istituzione psicoanalitica nei primi decenni del 1900; vi è un giovane Freud che fa lezioni di sabato dalle 19.00 alle 21.00 nell’Ospedale Generale di Vienna o che invita alcuni suoi colleghi nell’abitazione-studio a via Berggasse 13. Ivi avviene la fondazione di un archivio ufficiale; esso viene prodotto e trasmesso, rivisto e riformato nel corso dei decenni seguenti fino a dar vita alle Società nazionali e internazionali di psicoanalisi. L’opera di Zanda ci introduce alla presenza di otto figure oscurate: Otto Gross, Fritz Wittels, Wilhelm Stekel, Louise Kann, Montagu David Eder, William H.R. Rivers, John W. Layard, Elizabeth Severn. La corrispondenza privata tra gli analisti in luce,le note sugli incontri, le vicende storiche approfondite dall’autore esplorano ipotesi riguardo al perché di questa operazione di occultamento.
La storia della psicoanalisi è fatta da trasmissione ed eredità, ma anche da contrapposizioni e innovazioni. Le vicende gruppali indicate, in particolare tra la prima e la seconda generazione di analisti, ben descrivono questo complesso rapporto tra fedeltà e ribellione, tra memoria e futuro. Esiste, infatti, un complesso e talvolta drammatico legame tra la vita privata di un analista e la sua produzione professionale. Basta pensare, a titolo d’esempio, alla situazione di S. Ferenczi, di interesse attuale per il cosiddetto ‘rinascimento ferencziano’; inizialmente tra i fedelissimi, ad un certo punto della sua vita venne preso dalla revisione della sua relazione con Freud. Attento e onesto
osservatore del proprio mondo intrapsichico e interpersonale, Ferenczi (1932) definisce il maestro come troppo “preoccupato dalla verità (…) scientifica” (ibidem,p. 286), troppo poco preoccupato dalla questione terapeutica, e descrive sé stesso come “un figlio cieco e dipendente“ (ibidem,p. 285), adorante e acritico nei confronti di Freud. Così, con la paziente Elisabeth Severn, guaritrice metafisica e teosofa, ovvero la famosa R.M. del suo Diario Clinico,come ben racconta Zanda nel saggio “Una malata decisamente pericolosa”: Elisabeth Severn, Ferenczi si spinse ad osare, alla sperimentazione dell’analisi reciproca, oltre le colonne d’Ercole (im)poste dal padre della psicoanalisi. Rapporti personali e clinica s’intrecciano e si condensano nel seguente dubbio, che colpisce il lettore per l’onestà ivi implicata: “E’ questa la scelta che devo fare fra morire e ‘riorganizzarmi’ – e ciò all’età di cinquantanove anni? (…) Ha un valore vivere sempre e soltanto la vita (la volontà) di un’altra persona – e tale vita non è già quasi morte? Perdo troppo se rischio questa vita? Chi lo sa?” (ibidem,p. 320). Il Diario Clinico,scritto nel 1932, venne pubblicato soltanto nel 1985 ad opera di J. Dupont, dopo un periodo di prolungata censura, ovvero cinquantatre anni dopo.
Così, la cancellazione silenziosa è l’atto che seleziona il contenuto di ciò che finalmente subisce questo “passaggio istituzionale dal privato al pubblico” (Derrida, ibidem, p. 13). L’opera di Zanda lo consegna alla pubblicazione.
Recensione di Adelina Detcheva
Bibliografia
Derrida, J. (1995), Mal d’archivio. Un’impressione freudiana. Napoli: Filema 2005. Ferenczi, S. (1932), Diario clinico. Milano: Raffaello Cortina 1988.