Introduzione al “Social Dreaming” e resoconto di due Workshop tenuti a Raissa e Clarice Town

Il mio obiettivo è fornire alcune informazioni sul “Social Dreaming”, una tecnica di lavoro di gruppo che valorizza il contributo che i sogni possono offrire alla comprensione, non del “mondo interno” dei sognatori, ma della realtà sociale ed istituzionale in cui vivono. Gordon Lawrence (1998b), che ha scoperto questa tecnica, afferma che i sogni contengono informazioni fondamentali sulla situazione in cui le persone stanno vivendo nel momento in cui sognano. Il “Social Dreaming” non vuole sfidare il grande valore dell’approccio ai sogni della psicoanalisi classica, ma mette in rilievo la loro dimensione sociale.
Questo scritto è diviso in alcune brevi sezioni. Fornirò, prima di tutto, informazioni sul setting e sull’origine di questa tecnica. Parlerò del suo impiego per esplorare e migliorare il funzionamento di un’istituzione o di un’organizzazione. Cercherò, quindi, di inserire il “Social Dreaming” in una cornice storica. L’ultima parte dello scritto è dedicata all’illustrazione di due mie esperienze di lavoro.

1. Definizione, setting e lavoro durante le sedute
Il “Social Dreaming” potrebbe essere definito come un metodo di lavoro con i sogni, secondo il quale i sogni vengono condivisi in un gruppo di persone che si riunisce per questo motivo. Durante le sedute, i partecipanti presentano sogni che sono offerti al gruppo in modo che sia possibile stabilire legami e connessioni. (Armstrong, 1998; Lawrence, 1998a)
Le sedute di “Social Dreaming” solitamente durano un’ora e mezzo. Ciascuna fa parte di un ciclo che può essere breve, composto cioè da 3 a 5 sedute, oppure più lungo. È consigliabile evitare un’unica seduta “rischiatutto” di “Social Dreaming”, poiché lo sviluppo di un processo è un aspetto importante del metodo. Il piano di lavoro che viene adottato comunemente compatto: le sedute sono riunite in due o tre giorni di lavoro. Sono stati impiegati, però, anche altri piani di lavoro: ad esempio uno schema che prevede lo svolgimento di una seduta settimanale per un periodo di quattro o sei mesi. Le sedute possono essere condotte da un unico conduttore o da un piccolo staff. La decisione dipende dal numero di persone che compongono il gruppo, ma anche da preferenze personali del conduttore.
È preferibile che il gruppo non sia eccessivamente numeroso: non più di trenta o quaranta partecipanti. Il conduttore ed i partecipanti sono seduti in cerchio o a spirale. Lo spazio al centro del cerchio o nella spirale, è lasciato vuoto. Ci può essere, come è anche possibile che non ci sia, un breve discorso introduttivo in cui vengono comunicate alcune informazioni di base. Il lavoro può cominciare in qualsiasi modo: direttamente con la narrazione di un sogno, con una comunicazione da parte di un partecipante oppure con una domanda diretta al conduttore o al gruppo. Se il conduttore inizia con una breve comunicazione introduttiva, spiegherà che i partecipanti sono invitati a condividere i loro sogni, a fare associazioni ed esplorare il loro possibile significato sociale. Fra le istruzioni che vengono date all’inizio, una particolarmente importante riguarda le associazioni ai sogni; il conduttore può sottolineare che, almeno inizialmente, sarebbe meglio che i partecipanti non offrissero associazioni rispetto ai propri sogni, ma che associassero piuttosto sui sogni raccontati dalle altre persone presenti. Un sogno può essere raccontato come associazione al sogno di un altro partecipante. Questa è un’istruzione particolarmente rilevante perchè fornisce implicitamente il suggerimento che I sogni non devono essere considerati come una proprietà privata del sognatore, ma piuttosto qualcosa che è offerto perchè sia condiviso nel gruppo. (Hahn, 1998)
Altre poche regole possono far sì che la seduta proceda bene: permettere ai singoli partecipanti di parlare per non più di dieci minuti, evitare di rispondere a domande che sono poste direttamente ed evitare di ingaggiarsi in una discussione con un’unica persona. Queste regole hanno lo scopo complessivo di aprire una discussione che fornisca a tutti l’opportunità di parlare, piuttosto che andare verso un discorso centrato su una persona o ristretto tra due o pochi.
Dirò adesso qualcosa sul lavoro che viene fatto durante una seduta di Social Dreaming. Prima di tutto i sogni vengono sviluppati attraverso le libere associazioni ed anche impiegando la “amplificazione” emotiva e tematica dei contenuti.
Un secondo aspetto del lavoro, che implica il contributo di tutti i partecipanti, consiste in:
• collegare tra loro immagini, sogni e fantasie;
• evidenziare la sequenza dei sogni che sono stati raccontati;
• mettere in luce come sogni differenti possano avere punti in comune;
• riconoscere che un sogno raccontato da un partecipante potrebbe essere stato sognato da un’altra tra le persone presenti;
• capire se i sogni e le associazioni forniscono elementi utili per comprendere alcuni aspetti dell’ambiente sociale e/o dell’organizzazione a cui appartengono i partecipanti;
• mettere in risalto gli elementi sociali dei sogni

Attraverso questo lavoro, ogni sogno rivela di avere non un solo significato, ma molti che sono collegati tra loro.
Il lavoro nelle sedute di “Social Dreaming” implica l’identificazione d’alcuni pattern, piuttosto che l’interpretazione di contenuti.
Un risultato del modo in cui si affronta il lavoro, consiste nel fatto che nelle sedute si produce un’atmosfera onirica. Posso esprimere la stessa idea dicendo che durante le sedute di “Social Dreaming” i sogni vengono sognati una seconda volta.
Questa è la descrizione di alcune operazioni e momenti che possono realizzarsi in una seduta di Social Dreaming, ma ciascuna seduta ha un proprio sviluppo e potrebbe non necessariamente includere tutte queste operazioni.
Per fornire un quadro più completo, dirò qualche cosa anche su ciò di cui non ci si occupa durante una seduta di “Social Dreaming”. I sogni non vengono messi in rapporto all’infanzia delle persone che li raccontano, nè a quella degli altri partecipanti. I sogni non sono utilizzati per evidenziare qualche aspetto psicopatologico delle personalità. I sogni non vengono impiegati per portare attenzione sulla vita relazionale personale e privata dei presenti. È anche importante evidenziare che le sedute di “Social Dreaming” non hanno un diretto fine terapeutico. Come ho già detto il fine del “Social Dreaming” è un impiego del sogno per comprendere meglio la realtà sociale in cui vivono le persone che prendono parte alle sedute. (Armstrong, 1998a)
Il conduttore del gruppo si fa carico che le regole del setting siano rispettate. Egli lascia ai partecipanti il compito di associare, trovare significati e identificare allegorie e simboli. Interviene per facilitare il lavoro, ma non propone interpretazioni che riguardino la dinamica di gruppo o la formazione di sottogruppi. I suoi interventi sono sempre basati su ciò che è evidente, e sono indirizzati ad aiutare il riconoscimento del significato sociale dei sogni e delle associazioni.

2. Nascita del “Social Dreaming”
La data d’origine del “Social Dreaming” risale agli inizi degli anni ’80. A quel tempo, Gordon Lawrence faceva parte dello staff scientifico del Tavistock Institute of Human Relations.
Lawrence, come condirettore del Programma delle Relazioni di Gruppo dell’Istituto, sviluppa un approccio al gruppo centrato sul concetto di “relazionalità” (“relatedness”). Intendendo con questo concetto: i modi in cui l’esperienza ed il comportamento di un individuo riflettono e sono ordinati da costrutti consci ed inconsci del gruppo o dell’organizzazione che sono presenti nella sua mente.
Egli, insieme a Patricia Daniel concepisce poi l’idea di “un gruppo di persone che sognano socialmente”.
Nel 1982, viene attuato il primo esperimento di “Social Dreaming”, chiamato semplicemente: “Progetto di Social Dreaming e creatività”. L’esperimento dura otto settimane. Vengono tenute sedute settimanali, con tredici membri che avevano vari background professionali, la maggior parte dei partecipanti ha familiarità con la tradizione di studio della Tavistock. Le sedute vengono chiamate “Matrici di Social Dreaming”, dove la parola “matrice” ha il significato di “luogo da cui nasce qualche cosa”.

3. Il “Social Dreaming” nelle organizzazioni e nelle associazioni professionali
Lawrence ed altri ricercatori, successivamente, sviluppano in modo graduale l’idea che per capire meglio le istituzioni, è necessario prendere in considerazione anche la vita onirica delle persone che ne fanno parte. Essi impiegano la tecnica del “Social Dreaming” in vari contesti: consulenza aziendale, corsi d’aggiornamento, congressi.
In certe fasi della vita di un’organizzazione, le tensioni ed i conflitti raggiungono dei picchi. In queste fasi, spesso, una grande quantità di energie è impiegata a trovare delle “risposte”. Potrebbe risultare, invece, più proficuo permettere che le “domande” presenti nell’istituzione si sviluppino. Per fare questo, è necessario avere a disposizione un “contenitore” adeguato. Un contenitore nel quale le “domande” possano svilupparsi e che consenta alle persone di mettersi in relazione con esse ed elaborarle. I sogni possono rappresentare tale contenitore, ed il “Social Dreaming” può essere la giusta tecnica. (Tatham e Morgan, 1998; Ambrosiano, 2001)
La vita delle organizzazioni e delle associazioni professionali è spesso divisa in tre livelli. Il primo implica il lavoro pratico, amministrativo ed anche quello burocratico; il secondo ha a che vedere con gli ideali e le teorie; il terzo livello è quello della vita fantastica ed onirica.
Il lavoro di sogno (o di gioco) in un’istituzione è spesso poco evidente, riparato e quasi celato. Si può dire forse che è ciò che rende possibile scherzare o provare piacere durante il lavoro e con i compagni di lavoro. Si può aggiungere che è quello che consente di prendere sul serio, ma anche con una certa leggerezza ciò che accade nella vita istituzionale. È più facile accorgersi della mancanza o inadeguatezza che della attività di sognare l’istituzione.
Il livello (o dimensione) della vita dell’organizzazione, come un “luogo” dove si sogna continuamente e dove l’organizzazione è costantemente sognata, d’altronde, è spesso carente o comunque inadeguata. La inadeguatezza del livello onirico allarga la separazione fra il livello pratico dell’organizzazione e quello visionario, a detrimento di entrambi. Il metodo del “Social Dreaming” aiuta a portare l’attenzione e sottolinea l’importanza del livello dei sogni ed attiva il livello onirico che dovrebbe essere presente in ogni organizzazione. (Lawrence, 1998)
Il metodo del “Social Dreaming”, inoltre, aiuta a vedere le persone che fanno parte di un’organizzazione o di un’associazione nei termini del loro stile di pensiero ed immaginazione, piuttosto che nei termini del loro ruolo e delle loro psicopatologie.
Tale spostamento di prospettiva ha spesso l’effetto positivo di spingere, almeno temporaneamente, sullo sfondo le questioni di potere, per concentrarsi invece sul pensiero di gruppo e sulla valorizzazione di modi di pensare “divergenti” rispetto al pensiero dominante.
Le persone, infine, possono recuperare un senso di interezza e di essere intimamente connesse con gli altri membri dell’istituzione. Tale sentimento si era perso quando l’atmosfera dell’istituzione aveva cominciato ad essere caratterizzata da conflitti e divisioni “politiche”.
La tecnica del “Social Dreaming” è nata all’interno di un’istituzione (l’Istituto Tavistock) e ha trovato sinora applicazione soprattutto nel lavoro con organizzazioni (gruppi strutturati che hanno delimitati scopi di lavoro, studio o altro). Io ritengo che il “Social Dreaming” possa venire impiegato utilmente anche con gruppi formati da persone che non si conoscono o si conoscono poco. In questo caso, l’ambiente comune è costituito dal fatto di condividere la stessa realtà sociale, pur con l’ampiezza e la diversificazione che ciò comporta. (Beradt, C. 1966) Un esempio può essere il lavoro con persone che hanno subito un trauma, come è stato l’attacco ed il crollo delle Torri gemelle del World Trade Centre di New York. Un altro esempio può essere il lavoro con persone che cono emigrate e vivono in un paese diverso da quello di origine. Io ritengo, inoltre, che sarebbe utile sperimentare la tecnica anche introducendo alcune variazioni di setting – ad esempio, tenendo sedute settimanali per un periodo di alcuni mesi – per poterne valutare le eventuali potenzialità terapeutiche. (Beradt, C. 1966)

4. Profilo storico
Lawrence afferma che il “Social Dreaming” ha un passato molto lungo ed una breve storia attuale. Non c’è nulla di nuovo nella costruzione del materiale del “Social Dreaming” – i sogni e le libere associazioni – ma c’è qualche cosa di veramente rivoluzionario nel metodo e nel campo di applicazione. Lo stretto legame stabilito tra il sogno e l’individuo che lo ha sognato ha messo in ombra, per molti secoli, le funzioni comunicative del sogno per i gruppi o per le comunità. Dalla nostra prospettiva contemporanea, vale probabilmente la pena di recuperare questo antico approccio al sogno. (Selvaggi, 2001)
In molte culture tribali e nelle civiltà molto antiche, i sogni – come i miti – erano raccontati e discussi nel corso d’apposite riunioni collettive. Poiché i membri del gruppo condividevano moltissimo dal punto di vista simbolico e del linguaggio, essi avevano le chiavi per “leggere” la maggior parte del significato simbolico di un sogno. I loro “specialisti” (che erano specialisti dei rituali) erano a conoscenza della molteplicità delle espressioni e dei significati dei simboli ed il loro intervento era indirizzato ad accentuare, illuminare, integrare ed elaborare il racconto dei sogni, attraverso la risonanza poetica, piuttosto che “dis incantare” tale racconto. L’interscambio onirico facilitava il mettersi in rapporto e l’aggiustamento della comunicazione tra i membri del gruppo. Ciò risultava particolarmente utile e benefico in quelle aree della vita della comunità nelle quali la cooperazione e l’interdipendenza dovevano venire realizzate fluidamente, armoniosamente e con prontezza. Ad esempio, in una piccola tribù – i cui membri si confrontano quotidianamente con un mondo ed una vita molto dura – attività quali cacciare e lottare implicano la necessità di operare come un’unità. I membri della tribù, inoltre, durante la caccia o un’azione di guerra, affidano reciprocamente gli uni agli altri la loro vita.
Nel mondo urbanizzato del Mediterraneo classico – Mesopotamia, Egitto, Israele, Grecia – l’impiego del sogno è andato indirizzandosi verso scopi completamente diversi da quelli che ho descritto. I sogni sono diventati immagini e messaggi che riguardavano l’individuo più che il gruppo. Nel mondo mediterraneo classico, infatti, i sogni erano considerati essenzialmente come comunicazioni rivolte ai singoli sognatori. Il linguaggio onirico, in precedenza trasparente e capace di influenzare il vissuto condiviso, diviene più oscuro. Il sogno è portatore di una comunicazione significativa, ma per comprendere quella comunicazione è necessaria l’interpretazione. I sogni non sono più uno strumento di armonizzazione inconscia nell’ambito di un gruppo, ma piuttosto rivelano qualcosa del destino di un certo sognatore.
Nel secondo secolo dopo Cristo, Artemidoro di Daldia – come molti secoli dopo Freud – scrive un libro intitolato “L’interpretazione dei sogni”. Sia Artemidoro che Freud sviluppano ipotesi che conducono ad un “approccio individuale” ai sogni. Questo approccio ha bisogno di un esperto capace di decifrare il significato che è stato cifrato attraverso la condensazione e lo spostamento. Gli esperti devono sapere come rintracciare il residuo diurno contenuto nel sogno. Artemidoro afferma, parlando del residuo diurno: “Un uomo non sognerà cose alle quali non ha mai pensato”. Sia Artemidoro che Freud, inoltre, impiegano l’idea che esiste una separazione fra ciò che è inconscio e ciò che è cosciente; entrambi privilegiano i sogni allegorici che contengono immagini che si dispongono su più livelli. (Murray, 1999; Wilson de Armas, 1993)

5. Cenni su una tra le numerose evoluzioni dell’approccio psicoanalitico al sogno
Freud ha posto i sogni al centro del progetto scientifico della psicoanalisi. I sogni sono considerati specialmente nei termini delle interpretazioni che rendono possibile capire il loro significato. Nozioni come “censura” e “spostamento” vengono sviluppate da Freud per spiegare i processi implicati nel sognare, nel ricordare e nel dimenticare i sogni. È stato uno sforzo straordinario grazie al quale la narrazione e l’interpretazione dei sogni sono diventati aspetti rilevanti del lavoro psicoanalitico.
Nel corso del tempo, psicoanalisti di considerevole levatura hanno sviluppato la teoria di Freud e portato l’attenzione su aspetti che egli aveva preso poco in considerazione. In particolare, alcuni psicoanalisti hanno iniziato a guardare i sogni non come presentazioni distorte dei desideri del sognatore, ma piuttosto come autentiche e veritiere rappresentazioni dei suoi sentimenti, desideri, fantasie e pensieri. È stata, inoltre, messa in evidenza l’importanza di tali sentimenti e pensieri per la vita affettiva del sognatore.
È stato segnalato, anche, che certi sogni forniscono un efficace insight su un certo aspetto della personalità del sognatore e/o su ciò che egli sta vivendo in quel momento della vita.
Numerosi psicoanalisti ritengono che i sogni forniscano anche informazioni rilevanti sulle paure, speranze, ideali presenti nel ambiente sociale dove vive la persona che sogna. Ponendosi in questa prospettiva, alcuni psicoanalisti italiani – Riolo (1982), Corrao (1986), Gaburri (1992), Vallino Macciò (1992), Ferro (1996), Correale (2001) – hanno affermato che il sogno può essere considerato un’espressione di una data situazione (o di un dato “campo”) e acquista significato se viene collocato in riferimento a tale situazione (o “campo”).
Ponendosi all’interno dell’arco di orizzonte che ho delineato, i sogni possono essere considerati non solo come espressione di desideri e fantasie di un certo individuo, ma anche come “speciali rappresentazioni” di punti di vista ed idee di quell’individuo a proposito della comunità in cui vive e delle organizzazioni a cui appartiene.

6. Workshop a Raissa
Dirò, ora, qualche cosa a proposito di due workshops che ho condotto secondo la tecnica del “Social Dreaming”. Il primo è stato tenuto in Israele a Raissa. Al workshop hanno preso parte trentacinque partecipanti. La maggioranza era costituita da Ebrei Israeliani; quattro partecipanti erano Arabi Israeliani. I presenti erano tutti: psichiatri, psicologi o assistenti sociali. Tutti appartenevano ad un’organizzazione che promuove il dialogo tra gruppi e comunità in conflitto: Israeliani e Palestinesi, Ebrei ed Arabi, Ebrei laici e religiosi, ecc. Ho condotto il workshop in collaborazione con un collega israeliano.
L’organizzazione stessa è un gruppo assai conflittuale: i suoi membri sono divisi dal punto di vista politico fra destra e la sinistra. Questa divisione – dopo l’uccisione del premier Rabin da parte di un’attivista di destra – è diventata più netta e quasi irriducibile. I partecipanti “di destra” e “di sinistra” hanno opinioni molto diverse e conflittuali a proposito di molti problemi importanti; ad esempio, del processo di pace con i Palestinesi e del futuro dei coloni degli insediamenti ebraici nei territori dell’Autonomia palestinese. Sentimenti molto accesi sono stati alimentati in tutti dall’Intifada e dai recenti attacchi di kamikaze a supermercati, stazioni d’autobus e ristoranti.
La guerra o guerriglia in corso fra Palestinesi e Israeliani è stato il tema centrale delle tre sedute del “Social Dreaming”.
All’inizio della prima seduta, ho preso la parola molto brevemente, presentando la tecnica. La seduta è stata caratterizzata dal succedersi molto rapido e quasi frenetico del racconto di sogni. Il racconto di un sogno seguiva l’altro in un modo progressivamente sempre più rapido e con maggiore intensità emotiva. Ad uno sguardo superficiale, sarebbe potuto apparire che ognuno dei partecipanti era isolato in se stesso è mosso soltanto dall’urgenza di comunicare, attraverso il racconto dei sogni, emozioni e fantasie troppo compresse e sinora trattenute. Si sarebbe potuto pensare che i partecipanti non riuscivano ad associare rispetto ai sogni degli altri, e che potevano portare al gruppo solamente il proprio sogno o incubo. Gradualmente, però, è diventato sempre più chiaro che i sogni raccontati erano essi stessi, associazioni e/o elaborazioni dei sogni che erano stati presentati precedentemente nella seduta. Alcuni temi comuni si sono presentati con una forza sorprendente e sono apparsi come molto evidenti a tutti i presenti.
Tali temi erano centrati su:
– sentimento di essersi persi;
– senso d’insicurezza sulla strada da seguire;
– fantasie di essere abbandonati da genitori e figure dotate di categorytà;
– senso di colpa soprattutto rispetto ai propri figli.
Ecco, ad esempio, un sogno che mostra come una partecipante si senta in colpa per il tempo e le energie che dedica invece che alla figlia, all’associazione dove lavora come volontaria.
“Mia figlia sta comprando dei vestiti al centro commerciale di Robinia. La donna che gestisce il negozio prende dal suo borsellino 380 Soldi e li dà in beneficenza. Mia figlia si arrabbia moltissimo: vuole indietro i suoi soldi. La gerente le dice che li può avere indietro, ma che per averli deve andare o al “Centro della Sinistra” o alla scuola religiosa di Robinia.”
Il successivo tema comune presenta attraverso una serie di sogni centrati su:
– uccisioni, minacce e pericolo;
– desiderio di vendetta;
– senso di vergogna.
I partecipanti, come ho già detto, erano persone che si erano schierate a destra o a sinistra nella politica in Israele. La prima seduta ha consentito di mettere in luce e sperimentare l’esistenza di un’esperienza affettiva comune. Tale esperienza di base era rivelata dalla somiglianza dei sogni che prescindevano dalla divisione a destra o a sinistra. Essi, poi, nel corso della seconda seduta hanno avviato un dialogo che ha comportato un intenso ed emozionante esame di se stessi e delle posizioni politiche.
La terza seduta si è focalizzata sull’organizzazione stessa. È stato qui che è emerso più disaccordo, è stata espressa maggiore rabbia, i ruoli che alcuni dei partecipanti ricoprivano nell’istituzione sono stati chiamati in causa.
Proporrò adesso alcune considerazioni d’ordine generale sul workshop.
1. Nel discorso “cosciente” (o “diurno”) dei partecipanti la divisione fra Palestinesi ed Israeliani era proposta come qualcosa d’ovvio. Era chiaro per tutti che gli Israeliani ed i Palestinesi erano impegnati in un conflitto e probabilmente in una vera e propria guerra. Opinioni diverse venivano espresse rispetto a come gestire, su come “avere a che fare” con il conflitto, ma solo su questo. Nessuno metteva minimamente in dubbio che vi fossero conflitto e separazione, che Israeliani ed i Palestinesi costituivano due fronti nettamente contrapposti.
2. Nel discorso “del sogno” e nelle immagini oniriche, invece, i Palestinesi non comparivano solo come nemici, ma anche come figli, servi, persone che aiutano, persone umiliate ed oppresse e molto altro. Una partecipante al workshop – ad esempio – racconta un sogno nel quale un Palestinese era un Genio. Lei lo ingoiava e in lei iniziava un processo che la portava verso una trasformazione.
“Dalla mia bocca, veniva fuori un terribile Genio. Io lottavo con lui, poi lo mangiavo.”
3. Il tema dei nazisti e quello dell’olocausto sono presenti nei sogni, ma il dramma centrale condiviso dai partecipanti al workshop è il conflitto tra Israeliani e Palestinesi. Il conflitto attuale è sovrapposto e confuso con il terribile ricordo e con il mito della persecuzione nazista, e con la sua intera raccolta di sentimenti e fantasie. Il ricordo dell’olocausto indirizza i presenti anche verso una forte e conflittuale identificazione con il popolo palestinese.
4. Il tempo come è rappresentato nei sogni – in effetti, molti sogni non sono veri sogni ma incubi – è un tempo che non va in nessuna direzione. Non va in avanti e non va all’indietro. Non è il tempo circolare del mito. Non è il tempo dell’après coup, che può dà nuovo significato all’apparizione d’antichi eventi. Il tempo dei “sogni incubo” e della seduta del gruppo è un tempo ripetitivo e statico. Nessuna azione può essere completata. Nessuna azione può essere riconosciuta come veramente accaduta. La stessa azione è agita ancora ed ancora di nuovo, oppure è seguita da un’altra azione, che apparentemente è il suo opposto, ma in effetti è identica.
5. I miei interventi durante le sedute si sono concentrati soprattutto su questo modo di manifestarsi del tempo. In particolare, ho mostrato l’influenza che questa qualità del tempo aveva, rispetto a ciò avveniva nel gruppo. A tale fine, ho impiegato illustrazioni tratte dai sogni e dalle associazioni ed ho usato un linguaggio semplice e diretto.
L’apparizione dell’immagine di un “killer dotato di dignità” ha fornito un notevole contributo nel trasformare la ripetitività della sequenza di ciò che si presentava nel gruppo. Una donna ha raccontato un episodio che riguardava una donna incinta. Questa donna, abbandonando il suo atteggiamento passivo, aveva ucciso una guardia nazista. Un altro partecipante al workshop ha commentato che la donna aveva avuto questa possibilità perché era incinta. La donna aveva avvertito che uccideva non solo perché odiava, ma anche per un motivo più valido ed universale. Un altro membro ancora parla dei sentimenti che ha provato recentemente, quando è stato di guardia durante la notte, armato di una pistola, perché la sua famiglia era in pericolo.
6. In certe situazioni chi impugna un’arma ed anche chi uccide non è semplicemente un criminale o un killer, ma un “killer degno”. Un “killer degno” può accettare il fatto di uccidere e di avere ucciso. La controparte di un “killer degno” non è un persecutore o una vittima, ma un nemico. Un “killer degno” è molto diverso da un “killer professionista”. Un assassino professionista, dopo avere ucciso, è pulito, senza macchie di sangue, ben in ordine; tuttavia, è andato distrutto qualcosa d’essenziale dentro di lui e nella sua vittima. Un “killer degno” probabilmente può conservare un po’ di onore in se stesso e nel suo nemico.

7. Workshop a Clarice Town
Il workshop di Clarice Town ha utilizzato un setting ed ha seguito una distribuzione del tempo, simili a quelli di Raissa. Sono state tenute quattro sedute.
I partecipanti erano venticinque. Tutti sono membri di un’associazione che raggruppa psicoterapeuti che seguono nella loro pratica clinica un approccio psicoanalitico ed hanno fatto un training psicoanalitico. Vi può essere, però, differenza rispetto alla specifica scuola e corrente teorica. Alcuni dei membri dell’associazione seguono la Psicologia del Sé, altri una scuola ispirata al pensiero di Melanie Klein, altri ancora alla Tavistock. La decisione di convergere in una unica associazione è stata presa perché il numero di psicoterapeuti che operano in New Valdrade è molto limitato.
Riporterò un sogno, raccontato da una delle fondatrici dell’associazione, durante la seconda seduta.
“Stavo facendo jogging, indossavo pantaloncini corti. Ero molto più in forma di quanto non sia da parecchio tempo e forse anche di quanto non sia mai stata. Mi sentivo piuttosto sexy”.
La narratrice aggiunge:
“Anche se questo sogno sembra del tutto personale, penso che si riferisca alla nostra associazione”.
Emergono numerose fantasie. Qualcuno associa le “ragazze di Ashcombie road”, una strada famosa a Clarice Town per i bar e le ragazze facili. Un altro partecipante dice che, all’inizio, molti anni prima, l’atmosfera dell’associazione era molto più calda. Tutti erano anche maggiormente attivi. Una terza persona riferisce alcune immagini e stati d’animo sorti dentro di lei all’annuncio che uno psicoanalista italiano stava per arrivare a Clarice Town.
A questo punto, il discorso è mandato avanti soltanto da alcuni tra i presenti, i soci fondatori. Ascoltando il loro discorso, ho l’impressione – che poi si rivelerà esatta – che stiano prendendo una decisione, senza però fare nessun riferimento esplicito alla questione oggetto della decisione e neanche al fatto che stanno prendendola. Uno degli associati a questo sottogruppo improvvisamente chiede ad un altro dei soci fondatori:
“Ti ricordi quando venivano i supervisori da Eudoxia?”
A poco a poco, con il contributo di quattro o cinque persone, emerge la storia completa. Molti anni prima, tre “psicoanalisti didatti” venivano a Clarice Town, una volta al mese, per fare supervisioni, tenere seminari, ed in un certo senso per avviare l’associazione. Gli psicoanalisti didatti di Eudoxia lavoravano e rimanevano a Clarice Town durante il week end, dal venerdì alla domenica. Alcune psicoterapiste giovani erano state invitate a cena da loro; e poi, per un drink. Era successo qualche cosa di “inappropriato”, di “non del tutto corretto”. L’intera questione è stata passata sotto silenzio. Non fu più chiesto agli psicoanalisti didatti protagonisti di questa discutibile vicenda di venire da Eudoxia.
Immediatamente dopo che il racconto di questa vicenda è stato completato, una donna, che è uno dei membri dell’associazione che non appartiene al sottogruppo dei fondatori, ma neanche a quello dei più giovani, interviene ribellandosi:
“Come avete potuto non parlarci di questo per più di dieci anni!!”
Un’altra:
“Che bello!!! Voi avete avute vissuto un periodo animato e divertente e noi?”
Un successivo partecipante:
“Ora capisco perché la sessualità, e anche il più piccolo accenno di un amichevole flirt o di una vicinanza fisica fra noi è stato messo completamente al bando dalla vita della nostra associazione”.

8. Indicazioni metodologiche
a) Il primo commento è relativo alla straordinaria plasticità e versatilità del sogno. Il sogno nelle sedute di “Social Dreaming” svolge funzioni specifiche, e si adatta a questo setting altrettanto bene di quanto si adatta al setting psicoanalitico classico.
b) Il metodo del “Social Dreaming” mette in rilievo l’importanza del raccontare e condividere i sogni per favorire lo stabilirsi di una buona relazione tra i membri di un gruppo. Io credo che, condividere il racconto di un sogno, prima di interpretarlo o impiegarlo per capire, possa offrire un contributo anche per una buona “accordatura” della relazione tra paziente e psicoanalista nel setting tradizionale. (Friedman, 1999)
c) Il resoconto sul workshop di Raissa indica che è stato utile paragonare le “immagini coscienti” del conflitto tra Israeliani e Palestinesi con quelle nei sogni. Probabilmente, può essere conveniente fare un uso analogo dei sogni anche nel setting psicoanalitico.
d) L’ultima osservazione riguarda la psicoterapia di gruppo, non la psicoanalisi. Nelle sedute di “Social Dreaming” il significato che un sogno ha per il sognatore rimane sullo sfondo, mentre l’attenzione è portata sul suo significato sociale. Nelle sedute di psicoterapia di gruppo, la tecnica corretta si differenzia da questa. In psicoterapia di gruppo è più conveniente andare dal significato sociale di un sogno (o significato “di gruppo” di un sogno) a quello personale e poi nell’altra direzione, cioè dal significato personale a quello di gruppo. Questo tragitto di va e vieni verrà percorso più volte. (Neri, 2001)

Bibliografia

Ambrosiano, L. (2001). Introduzione all’edizione italiana. In Lawrence, W.G. (a cura di) Social Dreaming. La funzione sociale del sogno. Borla, Roma.

Armstrong, D. (1998). Introduction. In Lawrence, W.G. (edt.). Social Dreaming at Work. London, Karnak Book. [trad. ital. Introduzione. In Lawrence, W.G. (a cura di). Social Dreaming. La funzione sociale del sogno. Borla, Roma 2001].

Armstrong, D. (1998a). Thinking aloud: contributions to three dialogues. In Lawrence, W.G. (edt.). Social Dreaming at Work. London, Karnak Book. [trad. ital. Pensate a voce alta: contributi a tre dialoghi. In Lawrence, W.G. (a cura di). Social Dreaming. La funzione sociale del sogno. Borla, Roma 2001].

Beradt, C. (