Pensare con Freud

di Laura Ambrosiano e Eugenio Gaburri

La sensazione che si ha leggendo il lavoro di Laura Ambrosiano e Eugenio Gaburri   è quello di essere partiti per una navigazione. Si parte da Freud e con lui si scorre e si pensano temi come l’amore cannibalico, la morte, la sublimazione, la comunicazione agli altri delle cose che si è scoperto, e del destino delle trasmissioni:l’ascolto.

Antonella Granieri nell’introduzione al testo, riporta la suggestiva immagine di “patto tra chi dice la verità e chi lo ascolta, un patto che sancisce l’accettazione da parte dell’interlocutore di “sentire” la verità. La funzione psichica del sentire porta in primo piano l’inconscio tra i due attori, che arricchisce il discorso sullo scambio di parole e ascolto nella diffusione di qualsiasi cultura. (pag. XII). Accettare i pensieri che circolano, rendersi disponibili per i pensieri di altri implica essere in grado di fare spazio dentro di sé, aprire un tempo di attesa, che non sia sperimentato soltanto come vuoto o ansia (Neri, 2001).

Ambrosiano e Gaburri poi narrando la malattia di Freud colgono l’occasione per approfondire la funzione di autocura della sublimazione. La tradizione psicoanalitica tende a considerare la sublimazione come fonte di difesa, magari non riuscita, ma comunque tesa ad arginare la corrente pulsionale e a operare dei contro investimenti. Il versante vitale e positivo della sublimazione è che essa non sblocca l’energia pulsionale, ma la mette a disposizione per mete diverse dalla scarica. La sublimazione lascia circolare le energie, le utilizza, ne modula i ritmi, le incanala verso altri scopi. Diversamente dalla rimozione che comporta un impoverimento dell’Io, la sublimazione ne allarga orizzonti e prospettive, in questo senso ha una valenza auto terapeutica (pag 88-89).

Gli autori assumono in sintonia con il discorso freudiano, l’amore appassionato per il padre come spazio di elaborazione delle risorse per sublimare e l’esperienza edipica in senso allargato come un elemento che aiuta a organizzare la trasformazione della pulsione da desiderio cannibalico a una vorace sete di conoscenza (pag. XIX).

Sublimare ha a che fare con il creare. Il verbo italiano creare deriva dal creare latino, che condivide con “crescere” la radice kar.  Ed è proprio l’analisi che mettendo in moto un rapporto del paziente con se stesso, può dar inizio ad una crescita, unendo elementi esistenti con connessioni nuove, perdendo il guscio del già noto, della coazione a ripetere. Con le parole di Nazim Hikmet: “..il miracolo del rinnovamento, (…) è il non ripetersi del ripetersi”.  Occorre guardare all’ignoto.

L’analista dice Bion deve centrare la propria attenzione su O, l’ignoto e l’inconoscibile. Bion mette in secondo piano la funzione rappresentativa come fattore principale del cambiamento, dando priorità alla funzione trasformativa (Corrao, 1981).

Ambrosiano e Gaburri sottolineano come la psicoanalisi spesso è intesa come cura del passato, delle esperienze precoci che sono state rimosse e rimaste senza pensieri. Ma è proprio nella ricerca delle possibili prospettive di sviluppo del singolo individuo e del gruppo che la cura analitica è innanzitutto recupero e cura del futuro (pag. XX), di quella parte di tempo che ancora non ha avuto luogo.

L’ultimo capitolo del libro è un dialogo fluido tra gli autori in cui “dicono il vero” cioè proprio ciò che pensano sul testo che hanno scritto: i temi che hanno avuto più importanza, di cosa avrebbero desiderato scrivere, riprendono alcuni casi clinici ma  lontani dalla coazione  a saturare ogni mancanza, possono guardare così da angolature diverse attraverso il discorso.  Allargano i concetti, le idee, per cogliere, come dicono gli autori, i variegati nessi con il funzionamento psichico e il divenire.

È un libro ricco, intenso e profondo, un libro di scorrimento come lo definisce Gaburri. Si percepisce sempre un movimento, un cambiamento di posizione una creazione, è un libro che ricerca pensieri non ancora pensati e che promuove pensiero. Da leggere.