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Vitalità e gioco in psicoanalisi

di G. Civitarese e A. Ferro. Raffaello Cortina: Milano, 2020.

Recensione di Adelina Detcheva

Secondo Freud (1929), «la sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non può eludere quei segnali di allarme che sono il dolore e l’angoscia; dal mondo esterno, che contro di noi può infierire con forze distruttive inesorabili e di potenza immane; infine dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza che trae origine dall’ultima fonte viene da noi avvertita come più dolorosa di ogni altra» (p. 568). L’evitamento del dolore diventa prioritario rispetto al procurarsi il piacere di vivere. Tanto è stato detto e scritto in psicoanalisi sullo statuto del dolore mentale. Molti possono sperimentarlo, ma non riuscire ad esperirlo, sostiene Bion (1963). Nessuna psicoanalisi può definirsi completa senza aver attraversato l’esperienza del dolore. Anzi, la psicoanalisi stessa può essere definita un “crollo psichico controllato” (Bion, 1965) o un “crollo psichico già avvenuto” in epoche antiche, ora rivissuto (o vissuto per la prima volta) con la persona dell’analista (Winnicott, 1963).

Fin dalle proprie origini, il dispositivo psicoanalitico si è attrezzato al suo meglio per tollerare le quote di dolore del paziente (Neri, 2002). La capacità negativa stessa, intesa come capacità della mente dell’analista di sostare in stati psichici poco definiti e di incertezza dolorosa, diviene competenza da apprendere e trasmettere al paziente (Bion, 1970). Dunque, la psicoanalisi è la palestra per pensare l’impensabile (Coltart, 2017); la mente dell’analista (e anche il suo corpo) accoglie e sosta nel dolore proprio e altrui (Cancrini, 2002; Lupinacci et alii, 2015).

Ferro e Civitarese (2020) propongono di vederla diversamente, a rovescio. Così come il benessere non è solo assenza di malattia, obiettivo dell’analisi non è quello di raggiungere uno stato psichico di scomparsa del dolore, bensì può essere definita con il segno “più”. Il passo procede oltre quel punto ormai datato di freudiana memoria (1895), per cui la psicoanalisi trasformerebbe “la miseria nevrotica in infelicità comune”; oltre la prospettiva di una “liturgia della sofferenza” (Ferro, 2017). L’invito è quello di portarsi all’esplorazione, verso «il piacere dell’ora di analisi» (Ferro, Civitarese, ibidem, p. 155): «il compito della psicoanalisi è ben più ampio che risolvere il conflitto psichico, eliminare i sintomi, ampliare la capacità di riflettere su di sé e di prendere iniziative, ma ha a che fare con il promuovere l’esperienza di sentirsi vitali» (ibidem, p. 15). La vitalità diventa organizzatore dell’esperienza psichica, attraversando la relazione e approdando nel campo narrativo (Ferro, Civitarese, 2015). Essa rientra tra i fatti essenziali, quelli prioritari. «Il problema della vitalità e di come in analisi essa non vada lasciata solo all’umanità e alla spontaneità dell’analista ma debba diventare anche un parametro teorico e tecnico» (ibidem, p. 16). Il piacere dell’ora di analisi allora è assaporare il gusto del creare assieme al paziente nel “qui e ora” della seduta, delle trasformazioni in sogno, delle trasformazioni in gioco. La vitalità ha a che fare con la creatività primaria, con l’essere (Winnicott, 1971), con l’esperienza estetica (Meltzer, 1986). Con il piacere di esser vivi, fidandosi delle qualità del campo: «il campo [che] contiene narra trasforma sogna gioca» (Ferro, Civitarese, ibidem, p. 164). In fondo, «il paziente viene in analisi o perché non prova nulla, e allora è tagliato fuori dalla linfa vitale della sua vita, oppure perché è scosso da emozioni troppo violente, che lo lasciano ogni volta tramortito. In entrambi i casi non riesce a dare un significato personale a quello che gli succede. La verità della sua esistenza gli sfugge» (ibidem, p. 177). Dunque, infondere vitalità: attraverso l’ascolto aperto al polisenso, alla multidimensionalità; attraverso l’espressione, verbale o non verbale che sia: «credo che il 30 per cento sia costituito da quello che diciamo, il 25 per cento da come lo diciamo, il restante 45 per cento da quello che – perlopiù senza saperlo – facciamo mentalmente in seduta con il paziente. Preminenti sono dunque i cosiddetti fattori aspecifici. Li chiamiamo così per mascherare la nostra ignoranza, celebrare il noto ed evitare così i sentieri dell’ignoto. Invece ne dovremmo fare il nostro territorio di ricerca privilegiato» (ibidem, p. 95). Accompagnare il paziente nella creazione del suo personale lavoro di elaborazione della propria esperienza, alla ricerca della sua verità emotiva, forse è questa l’essenza della funzione analitica. «Bion (1973) scriveva che bisognerebbe dare sempre al paziente un buon motivo per tornare: un buon motivo potrebbe essere quel giocare assieme che allevia l’angoscia» (Ferro, Civitarese, ibidem, p. 166).

Bibliografia

Bion, W. R. (1963). Elementi della psicoanalisi. Armando: Roma, 2015.
Bion, W. R. (1965). Trasformazioni, il passaggio dall’apprendimento alla crescita. Armando: Roma, 2012.
Bion, W. R. (1970). Attenzione ed Interpretazione. Armando: Roma, 2010.
Bion, W. R. (1973). Seminari clinici. Brasilia e San Paolo. Raffaello Cortina: Milano, 1989.
Cancrini, L. (2002). Un tempo per il dolore. Boringhieri: Torino.
Cotard, N. (2017). Pensare l’impensabile e altre esplorazioni psicoanalitiche. Raffaello Cortina: Milano.
Ferro, A. (2017). Pensieri di uno psicoanalista irriverente. Raffaello Cortina: Milano.
Ferro, A., Civitarese, G. (2015). Il campo analitico. Raffaello Cortina, Milano.
Freud, S. (1892-5). Studi sull’isteria. In OSF, I. Boringhieri: Torino, 1967.
Freud, S. (1929). Il disagio della civiltà. In OSF X. Boringhieri: Torino, 1978.
Lupinacci, M. A., Biondo, D., Accetti, L., Galeota, M., Lucattini, A. (2017). Il dolore dell’analista. Astrolabio: Roma.
Meltzer, D. (1986). Studi di metapsicologia allargata. Applicazioni cliniche del pensiero di Bion. Raffaello Cortina: Milano, 1987.
Neri, C. (2002). La condivisione del dolore. In Quaderni di Psicoterapia Infantile, 44. Borla: Roma, 2002, pp. 85-97.
Winnicott, D. W. (1963?). La paura del crollo. In Esplorazioni psicoanalitiche, Raffaello Cortina: Milano, 1995.
Winnicott, D. W. (1971). Gioco e realtà. Astrolabio: Roma, 1990.